Coronavirus, il medico a casa dei malati: "Non siete soli"

Daria, 31 anni, dottoressa in prima linea dell’unità speciale: "Negli occhi dei pazienti vedo la paura, ma ora dobbiamo farci forza"

Daria Gesualdi, quasi 31 anni, è uno dei 15 dottori della task force pistoiese

Daria Gesualdi, quasi 31 anni, è uno dei 15 dottori della task force pistoiese

Pistoia, 3 aprile 2020 - Non devono guardare troppo a fondo per vedere la paura dentro agli occhi dei pazienti. Si trovano a gestire l’ansia, il tremore delle mani, gli attacchi di panico. Ogni volta che entrano nella casa di un malato con coronavirus o di un caso sospetto offrono assistenza ma soprattutto supporto psicologico.

E’ un un’iniezione di coraggio fondamentale. "Ci siamo qua noi – dicono – Non siete soli, non abbiate paura". In via della Quiete a Pistoia le unità speciali di continuità assistenziale (Usca) sono appena entrate in servizio e tra mercoledì e ieri mattina hanno già svolto sette interventi. L’equipe viene attivata dal medico di famiglia, interviene a domicilio per visitare i pazienti, fare i tamponi e rilevare i parametri. Spesso però il ’sintomo’ più crudele è la paura di chi si sente solo, abbandonato. Tra poche settimane Daria Gesualdi compirà 31 anni, ne ha già tre di esperienza come medico sul campo. E’ uno dei 15 dottori che compongono la task force pistoiese insieme a 5 infermieri e alla caposala. La maggior parte dei medici sono giovani – l’età media della squadra è di 35 anni – e si trovano catapultati al fronte, schierati direttamente in prima linea.

Tanti medici non se la sono sentita e si sono tirati in dietro. Lei e i suoi colleghi invece avete dato una grande prova di coraggio. "Ma non chiamateci eroi – dice Daria – Io, perlomeno, non mi sento così. Questo è il mio lavoro. E quando l’ho scelto l’ho fatto con il cuore. Al momento del giuramento sapevo a cosa andavo in contro. Quando si è presentata la possibilità di far parte dell’unità speciale non ho esitato un secondo a dire sì. Sono giovane e forte, per quale motivo mi sarei dovuta tirare indietro?".  

Però non dev’essere facile. "Assolutamente no, nessuno era preparato a un’epidemia di questo genere. All’inizio è stato tutto molto farraginoso. Adesso siamo armati e protetti, oltre che ben formati. Con queste premesse il nostro è un lavoro come gli altri, seppur con le emozioni e il senso di responsabilità che si provano a stare in prima linea".  

Avete paura? "Lavoriamo con scienza e coscienza, non ce lo possiamo permettere. Soprattutto, non ne abbiamo il tempo perché siamo impegnati a scaricare le paure degli altri".  

Come ci riuscite? "Con una grande azione di supporto psicologico, spieghiamo alle persone che non sono sole. Siamo in prima linea per la gestione clinica dei pazienti ma soprattutto per trasmettere coraggio e fiducia al paziente".  

Come lavora un’unità speciale? "Ci attiviamo su indicazione del medico o pediatra di famiglia, andiamo a casa dei pazienti per la visita e le valutazioni cliniche, rileviamo i parametri importanti ed effettuiamo rilievi strumentali e poi trasmettiamo anche i dati al medico curante. Siamo anche abilitati a fare il tampone faringeo per individuare il virus".  

Cosa l’ha colpita di più? "Lo spavento negli occhi dei malati, le loro voci e le loro mani tremanti. Ho trovato persone davvero molto preoccupate, anche giovani con attacchi di ansia che prima non avevano mai avuto. L’ultimo paziente che ho visitato ha 42 anni, era quasi in preda al panico. L’ho tranquillizzato, ci siamo sentiti a telefono più volte anche dopo la visita".  

Cosa dite ai pazienti, anche quelli più anziani? "La nostra non è una consolazione ma una rassicurazione, diamo spiegazioni cliniche su quello che sta succedendo al loro organismo e le giuste informazioni sull’infezione. Spieghiamo che il nostro sistema immunitario ha bisogno di tempo per combattere il virus. Ma soprattutto diciamo ai malati che sono tutelati, non abbandonati. Loro comprendono, si tranquillizzano e non si sentono più soli".  

Alessandro Pistolesi © RIPRODUZIONE RISERVATA