"C’è cultura anche nel tendere la mano"

La solitudine degli artisti senza palcoscenico. L’attore Piero Corso: "Ma ho voglia di ricominciare e parlare con la gente per strada"

Un acceleratore di un disagio che già esisteva, che ha finito per confinare la cultura e il fare arte nella categoria del "non necessario", del superfluo insomma, lasciandoci tutti un po’ più poveri. Se la pandemia – capitolo sanitario a parte – può aver consegnato una lezione, questa lo è certamente e ne è convinto Piero Corso, attore e artista pistoiese di decennale esperienza, un bagaglio di spettacoli e prodotti culturali diviso a metà tra l’Italia e la Francia, che come gli altri colleghi sta facendo i conti con uno stop forzato che sta mettendo a nudo tutta la fragilità del settore. "L’inutilità decretata per il mondo dell’arte dalla politica a ben pensarci non è neppure una cosa nuova – riflette Corso –: la cultura vive in una condizione di precarietà da tempo, indecisa essa stessa sulla propria funzione sociale, costretta a scontrarsi con un individualismo e una provincialità sempre più dilaganti". Spiragli di umanità e cultura riescono a sopravvivere in altre forme, ma non sono che briciole: "Da due anni vivo in una casa che affaccia su via Carratica, una sorta di microcosmo cittadino. Ho potuto sperimentare nuovi spiragli di cultura popolare, quella che ancora resiste: quei bar che lasciano i pezzi dolci e salati a fine giornata a chi ne ha bisogno, quelle persone che nonostante le difficoltà del momento che riguardano tutti sono capaci di piccoli gesti che tendono all’altro, che intessono relazioni, che si avvicinano alla gente, le collette organizzate per aiutare chi non riesce ad andare avanti. Ecco, in tutto questo io ci leggo l’arte, ci vedo la cultura. Qualcosa è riuscito a sopravvivere anche in un tempo malato come questo".

Ripartire e guardare a una riprogrammazione non è facile: "I fantomatici ristori per i lavoratori dello spettacolo sono finiti a dicembre, ci siamo trovati tre mesi e mezzo completamente scoperti – continua Corso –. La riapertura dell’estate scorsa non ha permesso minimamente di tirare il fiato: siamo andati in scena al teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, un luogo che in situazione non-covid conterrebbe cento persone nel pubblico e che nel 2020 ne ha contenute appena venticinque. È stato giusto esserci, ma ai fini della sopravvivenza tutto questo è stato inutile.

"Guardo ai miei principali palcoscenici e considerando i tempi lunghi del teatro sarà difficile mettere a punto una programmazione futura imminente tante sono le variabili in gioco". In teatro dagli anni Settanta, Corso ha collaborato e tuttora collabora con Pippo Delbono e con artisti di casa nostra come Maurizio Geri. "Non ho mai preteso di lavorare nella mia città – conclude – e ho finito per non sentirmi parte della comunità, per una distanza che c’è stata tra il mio modo di vedere e la gestione locale della cultura, che ho avvertito sempre un po’ assente. Cosa accadrà nei mesi a venire è tutto da scrivere. Di certo c’è che ho voglia di ricominciare, di parlare con tutte le persone che potrò di nuovo incontrare per strada e di tornare in scena".

linda meoni