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di Michele Bufalino

"Claudio Gavina, una vita in campo e ora in curva". È lo striscione che i tifosi nerazzurri tributarono allo storico ex magazziniere, subito dopo il suo addio al Pisa nel 2018, dopo oltre 30 anni al fianco della squadra, fin dai tempi di Romeo Anconetani. Gavina si racconta, ripercorrendo alcuni momenti importanti della sua storia personale e di quella del Pisa.

Gavina, quando iniziò a lavorare per i colori nerazzurri?

"Arrivai nell’84-85, collaborando ai cancelli dello stadio e poi imparando a conoscerlo dall’interno degli spogliatoi. In quei tempi, grazie a Luca Giannini, come responsabile del settore giovanile, facevo anche l’autista, portavo in trasferta i ragazzi fino alla Primavera. A quei tempi vidi anche un giovane Totti giocare contro i nostri ragazzi delle giovanili. Collaboravo anche con la prima squadra, perché il sabato andavo a prendere i giocatori a Pescia, a ‘Villa delle Rose’ e li portavo a Montecatini quando la squadra era in ritiro, un rito per Romeo".

Che epoca fu quella di Anconetani?

"Furono 10 anni bellissimi per me, ho ancora delle istantanee nella mia mente indimenticabili. Fu un’epoca di meraviglie, irripetibile".

Come visse il fallimento del ’94?

"Fu il momento peggiore, lo vivemmo tutti male. Rimasi tra gli ultimi assieme a Vocina (Aureliano Nardini) nella sede di via Battelli. La mandammo avanti con Vocina e Franco Masoni, compravamo da mangiare per i giocatori, lavavamo le maglie alla lavanderia a gettoni".

E dopo cosa accadde?

"La ripartenza, quasi da zero. Salvai molto materiale con il quale riuscimmo a ripartire. Le sarte misero le toppe con la scritta Pisa e le divise salvate dalla stagione precedente furono utilizzate in Eccellenza".

Cosa ricorda di quella ripartenza?

"Una riunione dei tifosi alla Scaletta dal Bartalini con tanti tifosi di vecchia data. Con tante collette i tifosi riuscirono a iscrivere il Pisa in Eccellenza nel 94-95 con una squadra allestita da Franco Meciani e da Secondini fuori dall’Arena perché lo stadio fu chiuso dal Comune. Ricordo un tavolino in cui i giocatori firmarono i contratti nel piazzale. Un lavoro da matti. Un’immagine di quel tempo? L’invasione dei tifosi a Perignano, rincorrendo l’arbitro che fuggì su un’ambulanza".

Quando venne la normalità?

"Con Gerbi e Posarelli, fu la rinascita, ripartimmo con una sicurezza e il ritorno dei professionisti veri. La vittoria della Coppa Itlalia di Serie C con D’Arrigo fu l’apice di quel periodo".

Visse anche due promozioni in B, nel 2007 e nel 2016.

"Sì, quella del 2006-07 era una squadra tosta e costruita bene, il prototipo della squadra che piace alla gente, entravano in campo e giocavano uno per l’altro. Braglia fu un grande, ragazzi incredibili, da Baggio a Ferrigno, il nostro compianto e amato capitano".

Poi ci fu la promozione di Gattuso.

"Una vittoria straordinaria. Lui era un amico, un babbo per tutti. Riusciva a ottenere tutto dalla squadra e dalle persone. Lo seguivano tutti e ci faceva superare tutte le difficoltà. La squadra non si è mai tirata indietro".