Cronaca di uno scudetto mancato d’un soffio

Fra feste anticipate, un giocatore portato via dai carabinieri e fake news: cento anni fa il Pisa perse la finalissima contro la Pro Vercelli

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di Renzo Castelli

Aristide Pera era il più vecchio (30 anni), Enrico Colombari il più giovane (16 anni), l’età media della squadra era di 23 anni, ed era un giovane anche l’allenatore, l’ex centravanti della nazionale magiara, Joszeph Ging: 30 anni. E’ questa la squadra nerazzurra che cent’anni fa, il 24 luglio del 1921, sfiorò lo scudetto tricolore nella finale contro la titolata Pro Vercelli (già vincitrice di ben sei scudetti) sul campo di Torino. Che tanto neutro questo campo non era davvero. I tifosi pisani non erano in grado di raggiungere in massa il capoluogo del Piemonte così che la tifoseria (8 mila spettatori) fu tutta per i bianchi di Vercelli. Ed era la previsione di un tifo così sbilanciato che aveva indotto il presidente del Pisa, Giacomo Picchiotti, ad avanzare un reclamo alla commissione federale perché spostasse la finale a Bologna.

Richiesta logica sotto il profilo geografico anche se Picchiotti, in cuor suo, voleva Bologna perché era nella città felsinea che il Pisa, nella semifinale del 3 luglio, aveva battuto il Livorno per 1 a 0. Ma gli fu risposto picche. Era tanta l’euforia in città per questa finale che la sera del giovedì precedente la gara fu organizzata una grande festa all’Arena Garibaldi (dal 1919 il nuovo campo da gioco del Pisa) alla quale parteciparono anche i giocatori. Si era nel cuore dell’estate e si fecero le ore piccole. Non possiamo dire che quella gran baraonda abbia inciso sul risultato della domenica successiva, che maturò per ben altre circostanze, ma almeno un po’ di scaramanzia sarebbe stata opportuna.

Le vicende contrarie sono note. Partenza della squadra da Pisa nel cuore della notte, arrivo a Torino poco dopo l’alba, Poggetti in colica durante il viaggio e convocazione volante via telegrafo a Gnerucci che arriva allo stadio poco prima della gara. La formazione schierata da Ging è pertanto questa: Gianni, Bartoletti, Giuntoli, Gnerucci, Tornabuoni, Viale, Sbrana, Merciai, Corsetti, Colombari, Pera. Al 12esimo Rampini colpisce duro Gnerucci: frattura della tibia. Al 45’ rete di Ceria (regolare), al 47’ pareggio di Sbrana, al 6’ rete di Rampini che raccoglie la palla respinta dal palo dove l’aveva calciata Ardizzone almeno un metro dopo l’ultimo difensore nerazzurro. L’arbitro (Olivari di Genova) nega il clamoroso offside e Viale, esasperato, cerca di prenderlo per il collo per strozzarlo in diretta. Viene portato fuori dal campo da due carabinieri. Ridotto in nove il Pisa subisce per 25 minuti un bombardamento dalla Pro Vercelli e soltanto la bravura di Gianni (che sarà poi nazionale e portiere di tre scudetti del Bologna) impedisce il tracollo.

Telegrafo e telefono sono bloccati dalla mezza rivoluzione in corso in Italia ma c’è il solito ‘bene informato’ che avverte: "Il Pisa ha vinto!". E indica anche il marcatore che non può che essere Danilo Sbrana. Dal bar Pietromani parte così un corteo verso la stazione con le bandiere nerazzurre al vento per accogliere i calciatori eroi. Il primo a scendere dal treno poco prima della mezzanotte è Pera che dice: "Ci hanno rubato la partita". Delusione generale, fine della storia. Il presidente Giacomo Picchiotti si dimette dopo che la commissione federale (che si riunisce a Torino: ancora!) ha respinto il suo reclamo. D’ora in poi farà soltanto l’avvocato (ma essendo un irriducibile antifascista non avrà vita facile). La stampa sportiva nazionale rende giustizia al Pisa segnalando gli errori dell’arbitro: Rampini andava espulso per il fallo su Gnerucci, la rete di Ardizzone era in netto offside. Ma scrive anche che Mario Gianni ha salvato il Pisa, ormai ridotto in nove, da una più dura punizione. La più bella rivincita se le prenderà Alberto Merciai che, acquistato anni dopo dalla Juventus, batterà la Pro Vercelli per 6 a 1.