Week end all'insegna della passione con Manon Lescaut

Sabato e domenica, al Verdi, il capolavoro giovanile di Giacomo Puccini

Manon Lescaut

Manon Lescaut

Pisa, 16 marzo 2017 - Torna sul palco del Teatro Verdi, a ventun’anni di distanza dall’ultima volta che andò in scena, Manon Lescaut: sabato sera (18 marzo) alle 20.30 e domenica pomeriggio alle ore 16, penultimo titolo della Stagione Lirica di quest’anno.

Opera in cui si rivelò nella sua compiutezza il genio di un ancor giovane Giacomo Puccini, Manon Lescaut viene oggi proposta nel nuovo allestimento realizzato dal Teatro Goldoni di Livorno e coprodotto con il Verdi di Pisa ed il Teatro Sociale di Rovigo. Sul podio, alla guida dell’Orchestra della Toscana, il M° Alberto Veronesi, l’affermato direttore di livello internazionale nonché presidente del Festival Puccini di Torre del Lago; regia, scene e costumi del giovane regista romano Lev Pugliese, che già firmò a Pisa qualche anno fa le mozartiane Nozze di Figaro.

Grandi nomi nel cast, a partire dalle due protagoniste del ruolo eponimo, due vere e proprie stelle del mondo della lirica, entrambe acclamate interpreti pucciniane: Rachele Stanisci sabato e Donata D’Annunzio Lombardi domenica.

Nel ruolo di Des Grieux i tenori Gianluca Zampieri e, domenica, Danilo Formaggia; in quello di Lescaut l'esperto Sergio Bologna, cui si alterna domenica il baritono coreano Leon Kim; Geronte di Ravoir è interpretato in entrambe le recite dal baritono Carmine Monaco d'Ambrosìa. Con loro giovani artisti, in gran parte legati ai progetti formativi del Teatro Goldoni o espressione del territorio, quali Giuseppe Raimondo, Alessandro Ceccarini, Didier Pieri, Alessandro Martinello, l’attore Fabio Vannozzi ed il soprano pugliese Lorena Zaccaria. Coro Ars Lyrica, Maestro del Coro Marco Bargagna. I costumi sono stati realizzati nella sartoria del Teatro Goldoni da Carolina Micieli.

La trama è nota: la bella e giovane Manon, in una tappa del viaggio che la conduce al convento dov’è destinata, incontra lo studente Renato Des Grieux e subito fra i due sboccia un amore travolgente che li porta a fuggire insieme. Il loro legame, però, non durerà a lungo: Manon ben presto, grazie alle trame del fratello, si lascia irretire dal vecchio e ricco tesoriere Geronte di Ravoir, andando a vivere nel suo palazzo fra lussi e feste. Des Grieux, che non s’è mai dato per vinto, riesce a ritrovarla e a strapparle un ultimo amplesso. I due vengono colti in flagrante da Geronte che, furibondo, denuncia la giovane come prostituta. Manon viene così condannata all’esilio negli Stati Uniti. Des Grieux cerca di aiutarla a fuggire dalla prigione di Le Havre dove è reclusa in attesa della partenza della nave, ma il tentativo fallisce e il giovane, per non abbandonarla al suo destino, salpa con lei. Una volta in America i due amanti riusciranno a scappare ma si troveranno a vagare senza meta in una landa desolata, dove Manon, vinta dalla fame e dalla sete, morirà tra le braccia dell’amato.

Ispirata al famoso romanzo settecentesco di Prévost L’histoire du Chévalier Des Grieux et de Manon Lescaut, la Manon pucciniana – che ebbe una difficile gestazione, con un libretto passato per le mani di più autori – se ne discosta non poco, per cantare, come suggerisce Puccini per primo e come ricorda a sua volta Alberto Cantù nel suo L’universo di Puccini, «‘una passione disperata’, da drammaturgo italiano». Una passione forte, che vede il grande compositore affrancarsi «da un teatro in cui l’amore ha valenza anzitutto etica» – sottolinea ancora Cantù – per guardare piuttosto a un amore «come sesso ma soprattutto sogno e incanto, il ‘fascino arcano che incanta Des Grieux».

La scelta livornese di produrre la Manon pucciniana è legata alla ricognizione sulla produzione del compositore toscano, compagno di studi e amico-rivale del labronico Mascagni, già da qualche anno intrapresa dal Teatro Goldoni, che con Lev Pugliese ha qui puntato su una lettura onirica e psicologica dell'opera pucciniana, partendo da quel deserto e da quella “landa desolata” in cui si conclude la vicenda, vera espressione del “deserto dell'anima” della protagonista: “In Manon vedo una forte bramosia di vita, di anelito alla libertà – spiega il regista romano – spinta da un desiderio ardente va alla ricerca di qualcosa di indefinito nel futuro. In un lungo flashback alla fine della vita che accompagna il disfacimento del suo sogno, Manon rivive il proprio vissuto contorniata da un coro “sbiadito” di anonimi e insignificanti individui, uniformati da un costume che li avvicina all’immagine di manichini piuttosto che di esseri umani”.

Pochissimi i posti ancora disponibili; per informazioni tel 050 941 111 e www.teatrodipisa.pi.it