"Una gran luce illumina i misteri" e la vita di una comunità a Pisa

I 'Sonetti ebraici' di Piero Nissim. Ovadia: "Un ricamo visibile, un amarcord"

Piero Nissim da bambino. Dalla copertina dei 'Sonetti ebraici'

Piero Nissim da bambino. Dalla copertina dei 'Sonetti ebraici'

Pisa, 31 agosto 2022 - “Una gran luce illumina i misteri”. Una grammatica efficace in versi, di apparente leggerezza, per entrare nel vissuto della comunità ebraica di Pisa, con lo sguardo di un bambino, quello che in copertina sorride al lettore: Piero Nissim, autore dei 'Sonetti ebraici' da poco pubblicati da Belforte. Sguardo di bambino, ma non infantile: è piuttosto l'innocenza non perduta e rivelata nella terza d'età, su una linea di soglia, quando “una gran luce illumina i misteri” e si salutano da lontano ma non troppo quelli che sono andati “in avanscoperta”. Ispirati stilisticamente a Renato Fucini, scritti in vernacolo pisano, i 30 sonetti di Nissim sulla comunità ebraica di Pisa e dintorni, sono suddivisi in sei sezioni: ricordi, memoria, festività, omaggi, visioni universali e “concrusioni”, composte ripercorrendo con gratitudine gli affetti, la città e la fede ricevuta, con accenti molto delicati, quando sono celebrate le guide della comunità, gli scomparsi nella Shoah, i propri cari e la “sorella nostra che sei nei cieli”, le festività. “Judim” si chiamavano fra loro gli ebrei in Italia. Moni Ovadia, che firma l'introduzione, osserva come i riti degli judim italiani, che scandiscono anche la raccolta di Nissim, "si sono succeduti come un ricamo visibile, preciso ma delicato nella trama e nell'ordito delle città cattoliche”. Per Ovadia siamo davanti alla visione “di un amarcord ebraica”. Umberto Fortis colloca il volume di Nissim in un filone specifico che viene ben ricostruito. I sonetti sono collocati in una cornice che comprende anche un utile glossario e due scritti, l'uno di Lietta (“sono cartoline di una Pisa forse dimenticata quelle che Piero Nissim ci regala con i suoi sonetti in un vernacolo addolcito”) e l'altro di Giorgio Manganelli, un prezioso articolo del 1982 che spiega perché “la domanda ebraica” fa paura e suscita reazioni violente e demolitive: “Noi sappiamo che si ha paura di ciò che sta dentro di noi, non di ciò che ci è estraneo”. Dentro di noi c'è una "domanda ebraica", con “la rinuncia alla protezione... tutto ciò che tiene lontano dalla nostra esistenza le immagini non misurabili... L'occidentale ha il terrore dell'altrove e tuttavia sa nelle sue viscere geroglifiche che solo l'altrove custodisce il suo significato... L'ebreo è sempre stato l'uomo dell'altrove”. Si tende a controllare, rimandando all'infinito le domande e le responsabilità di senso, ma per dirla in modo semplice, con Manganelli, “nascita, anima e morte, checché esse siano, non si laicizzano”. . Michele Brancale