Toscana: preoccupa la ’variante criminale’

Crisi e pandemia non fermano malavita e fenomeni di corruzione, lo svela il Quinto Rapporto elaborato dalla Scuola Normale di Pisa

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Crisi e pandemia non fermano malavita e comportamenti illeciti in tema di corruzione, riciclaggio, traffico di droga, caporalato etc. Se il Quinto Rapporto sui fenomeni di criminalità organizzata e corruzione in Toscana nel 2020, realizzato dalla Scuola Normale su commissione della Regione, traccia un quadro a tinte fosche, il dato comunque positivo è che la provincia di Pisa non si segnala per particolari primati negativi. Pisa è sull’ultimo gradino del podio, terza con l’11%, dietro Arezzo e Pistoia (a pari merito) e Prato, nel campo dei beni confiscati. Secondo il Rapporto, in Toscana il numero totale dei beni confiscati è di 541 con un incremento rispetto all’anno precedente del 11%. La metà circa dei beni (immobili o aziende) in gestione sono localizzati in sole tre province: Pistoia (58 beni), Pisa (57 beni) e Prato (55 beni).

Elemento di criticità è il tempo: secondo i dati disponibili, l’attesa media di un bene prima di essere destinato è di circa 7 anni dopo la confisca, se il provvedimento è stato emesso negli ultimi 20 anni. Nel Rapporto, Pisa viene menzionata anche al capitolo "Fenomeni corruttivi". Nel 2020, 20 casi hanno come sede Firenze, mentre Pisa, assieme ad Arezzo e Pistoia ne registra molti meno, fra i 2 e i 3. Colpisce però l’analisi del tipo di corruzione nel report di Alberto Vannucci, professore di Scienza Politica nell’Università di Pisa, che evidenzia come, negli eventi emersi in Toscana, nel corso del 2020, sia centrale la funzione di una varietà di figure professionali come avvocati, commercialisti, notai, ingegneri, architetti, medici, etc. accanto a imprenditori e a funzionari o dirigenti pubblici. Fra i segnali di allarme che emergono dagli eventi di corruzione in Toscana nel 2020 i ricercatori evidenziano la vulnerabilità delle società partecipate a fenomeni di potenziale abuso di potere. In diversi casi, inoltre, episodi di corruzione riguardano anche i politici e i sistemi di appalti e nomine che rappresentano anche una merce di scambio. Oltre alla corruzione, che preoccupa ora più che mai per la gestione degli appalti del PNRR, c’è anche il traffico di stupefacenti a impensierire.

La Toscana, anche ‘grazie’ al Porto di Livorno, è ormai una delle più importanti porte d’accesso del narcotraffico gestito da ‘ndrangheta e albanesi. "Il mercato toscano degli stupefacenti – ha spiegato Salvatore Sberna, ricercatore della Normale - si conferma ad elevata internazionalizzazione, con organizzazioni straniere, come quelle albanesi, che dimostrano di aver acquisito posizioni di mercato privilegiate nell’importazione su larga scala dall’estero e nella vendita all’ingrosso sul territorio toscano". Nel 2020 la Toscana è stata la seconda regione in Italia per quantitativo di cocaina sequestrata (3.495) kg dopo la Calabria, con un incremento del 199% rispetto al 2019. Nel 2020, il porto di Livorno ha fatto registrare il picco più alto dei sequestri rispetto agli ultimi dieci anni (3.370,79 kg), secondo soltanto a quello di Gioia Tauro per cocaina sequestrata. Il Rapporto mette in evidenza la centralità del porto di Livorno nel sistema dei traffici illeciti nazionali. Per la Direzione Nazionale Antimafia il porto di Livorno oggi svolge un ruolo non meno importante dello scalo di Gioia Tauro e di quelli liguri, come luogo di arrivo in Europa e in Italia, degli stupefacenti che arrivano, soprattutto dal Sud-America, o direttamente o dopo il primo approdo europeo in altri Porti, situazione, questa, a cui ricondurre la forte operatività della ‘ndrangheta, in rapporti con gruppi criminali locali d’appoggio.

Eleonora Mancini