Antonio Nobili, l’enfant prodige del teatro italiano

Il trentaquattrenne artista frusinate, reduce dal successo fiorentino, si racconta

Antonio Nobili

Antonio Nobili

Pisa, 25 marzo 2019 - Antonio Nobili, attore, autore e regista, dopo l’esordio a 13 anni, recita, studia e scrive tra l’Italia e la Gran Bretagna. Affronta i testi Shakespeare, Garcia Lorca e Oscar Wilde, reinterpretandoli. Adesso in tournée con lo spettacolo “Dio arriverà all’alba - Omaggio ad Alda Merini”, da lui ideato e diretto e già sold out a Firenze, tornerà nel capoluogo toscano in occasione del Maggio fiorentino sabato 18 e domenica 19.

Che scuola superiore ha frequentato dopo l’esordio da giovanissimo?

“La mia prima volta su un palcoscenico è avvenuta in età scolare e non ha agevolato né la mia inclinazione allo studio, né il naturale percorso che la scuola prevedeva. Ho avuto la fortuna, però, di incontrare insegnanti appassionati di teatro, alcuni anche coinvolti in prima persona in rappresentazioni amatoriali, che hanno sempre giustificato molte delle mie assenze. Questo dalle scuole medie sino al liceo scientifico, dove mi sono diplomato”.

Dopo i diplomi presso il Teatro dell’Appeso e la Scuola inglese di arti drammatiche, ha collaborato con grandissimi nomi internazionali. Quali sono stati fondamentali per lei e vuole ricordare adesso?

“Ho la fortuna di appartenere a quella generazione che porta molto rispetto alla figura del Maestro. In ciò mi hanno aiutato le mie origini molto semplici, di campagna, dove il Maestro è sempre stato un’istituzione. Il Maestro appariva ai miei occhi, non solo come una guida, ma anche come una fonte continua di sapere, di ispirazione e di imitazione. Sono stati tanti quelli che ho incontrato durante il mio percorso, la mia strada si può dire “lastricata dalle parole dei miei maestri” e le porto con me ogni volta che si apre il sipario. Impossibile citarli tutti, non sarebbe corretto citarne soltanto alcuni. Porto con me nel cuore ognuno di loro, ad ogni battuta, sul palcoscenico”.

Ha scritto testi di ispirazione shakespeariana. In che modo ha reinterpretato l’autore inglese?

“Parlare” alle persone, raccontare delle storie affinché il pubblico si possa immedesimare, è da sempre la funzione principale del teatro. Farlo attraverso autori del passato che ancora oggi riescono a comunicare al contemporaneo, trasmettere un messaggio di valenza universale, imparare attraverso i sottotesti a trarne la linfa, digerirla ed offrirla in una forma nuova alla generazione attuale, rispettando i capisaldi della prima e le esigenze dei secondi, permette di comprendere ed apprezzare il concetto di “senza tempo” che vive in ogni capolavoro teatrale. 

Nessuno meglio di William Shakespeare rappresenta questo “scavalcare i confini del tempo” e dunque è stato naturale che lo incontrassi sulla mia strada per primo e in lui, riscrivendolo, cercassi queste “porte aperte” al contemporaneo”.

Attore, autore, regista. Fra tutte queste attività ce n’è una che preferisce?

“Ragionando sulle fasi del lavoro che mi portano alla creazione e alla successiva messa in scena dello spettacolo, sicuramente posso dire che preferisco il regista, il lavoro in sala prove, il trasformare la parola in immagine. Ogni volta che scrivo, quindi che mi trovo nei panni dell’autore, non vedo l’ora di passare il testimone al regista. Nonostante la fase autoriale sia necessaria e fondamentale, davanti ad una scelta, la figura del regista è sicuramente quella che mi appartiene di più”.

Ho letto che ha curato anche la regia nell’opera lirica. Come è approdato a dirigere questo tipo di rappresentazione?

“La passione innata per l’Opera lirica, così come trovarmi a lavorare con l’Arte Scenica, sono aspetti della mia vita che appartengono a ciò che chiamo “impulsi informi”. Da sempre la musica classica riesce ad evocarmi immagini, è un passaggio spontaneo, che avviene senza l’esercizio della volontà, naturalmente, come dal germoglio sboccia il fiore.

Diverse volte ho aperto le porte del giardino della mia fantasia, ed ha funzionato, ha suscitato emozioni, le mie idee sono piaciute “a chi di dovere” e ciò mi ha dato la possibilità di renderle produzioni d’Opera che vivono ancora in me come un ricordo bellissimo e fondante della mia carriera”.

Ha trattato William Shakespeare e successivamente anche Garcia Lorca ed Oscar Wilde: cosa ama in particolare di questi autori e ha voluto sviluppare?

“Ogni autore citato nella domanda rappresenta una fase, un periodo, del mio lavoro teatrale. Ho già detto quanto Shakespeare sia stato fondamentale nel mio lavoro sui classici in quella scoperta di “porte aperte” al contemporaneo.

Nel parlare alle persone attraverso il Teatro si compie quella magia per la quale si riesce a dialogare, sia con il singolo che con un’intera comunità, una società. I due autori con i quali ho condiviso l’ottica sul mondo e sul sociale e che ho sentito la necessità di rappresentare sono stati di certo Oscar Wilde e Federico Garcia Lorca. Ciò in virtù di uno spirito autonomo e ribelle che, con sagacia ed eroismo, sappia sacrificarsi sull’altare del contemporaneo, in nome di un ideale libertario non assoggettabile ad alcuna forma di costrizione dettata dal contesto etico o morale”.

È direttore dell’Accademia di Arti Drammatiche “TeatroSenzaTempo”. Mi vuole parlare delle vostre attività?

“TeatroSenzaTempo, che poi è la persona giuridica dalla quale sorgono e attraverso la quale si sviluppano tutti i miei progetti, nasce con una missione che vive nel suo stesso nome: continuare a mantenere accesa la fiamma di una tradizione teatrale ancora viva, vivace e necessaria. Per fare questo, non solo allestiamo, produciamo e portiamo in giro spettacoli ma, sopratutto, formiamo giovani attrici e attori al mestiere della recitazione, offrendo loro tutti gli strumenti utili a destreggiarsi nel multiforme “Mondo dello Spettacolo”.

È in tournée con uno spettacolo omaggio a Alda Merini. Mi racconta di questo suo progetto?

“Dio arriverà all’alba” è quasi un frutto del caso, dell’incontro tra due idee apparentemente distanti tra loro. Ho iniziato con un’indagine sulle origini della poesia, potremmo dire orfica, che nasce dalla sensibilità di osservazione e dall’immaginazione e prescinde dalla cultura largamente fraintesa del curriculum accademico, e che, al contrario, spesso troviamo negli occhi e sulle mani delle persone più semplici e più distanti dai ritmi frenetici odierni, nell’emarginazione di chi per la propria esistenza compie scelte differenti. Insieme a questo, si è fuso quasi spontaneamente un altro tema sul quale stavo riflettendo durante la fase di scrittura del testo: l’innamoramento che nasce dalla stima, dalla fascinazione, dal rispetto per il proprio maestro, e la volontà di comprensione che diventa passione e ricerca di una fusione, che sfiora il carnale. L’approfondimento delle vicende biografiche di Alda Merini ha confermato la mia intuizione ed è così che si crea sulla scena una tensione passionale nei confronti della poesia, come nei confronti della forza vivificante che dalla poesia sorge e si diffonde, in ogni gesto, in ogni oggetto, in un mozzicone di sigaretta, in un fiore reciso, in ogni granello di polvere, nel chiaroscuro delle notti insonni passate a fissare il soffitto”.

Prossime idee in cantiere?

“Quel cantiere, definizione appropriata in questo periodo, che è “Dio arriverà all’alba”, ancora deve terminare il suo lavoro. In molti e in molte città ci aspettano per questa occasione, che è il decennale della scomparsa della più grande poetessa italiana contemporanea. Rimanendo quindi aderenti al tempo presente, saremo ancora a lungo impegnati in questo progetto, ma molti altri sono quelli all’orizzonte, poiché ogni volta che mi affaccio alla finestra è una nuova alba quella che vedo e quasi mai un tramonto”.

Francesca Padula