"Io, neomamma positiva per 34 giorni". L’incubo, la paura e la solidarietà

Giulia Gambini, avvocatessa e consigliera comunale di Fratelli d’Italia, racconta i giorni difficili del parto: "Tante le persone vicine: un grazie ai medici e ai volontari della Cri che portavano il mio latte alla bimba"

Giulia Gambini, avvocatessa e consigliera comunale, con la piccola Anna

Giulia Gambini, avvocatessa e consigliera comunale, con la piccola Anna

Pisa, 23 luglio 2021 - Ora che tutto è alle spalle e la sua prima e unica dose di vaccino l’ha ricevuta due giorni fa, Giulia Gambini, avvocatessa e consigliera comunale eletta con Fratelli d’Italia, accetta di raccontare la sua storia. Una storia simile o eguale a quella di altre donne che, come lei, hanno partorito con incombenti l’incubo del Covid e la sua imprevedibile evoluzione. Una storia come altre dove la normalità di attendere, condividere e gustare con gioia un momento miracoloso come la nascita di un figlio si trasforma nell’anomalia di viverlo da soli e persino separati dalla creatura appena partorita.

Avvocato, cominciamo dalla fine. Due giorni fa si è vaccinata contro il Covid, che ha contratto invece a febbraio, incinta. "Si è chiuso un cerchio e anche un incubo. Come da indicazioni valide ma in procinto di cambiare, chi ha avuto il Covid, in un intervallo fra i 3 e i 6 mesi dal contagio, avrebbe dovuto fare un’unica dose (Moderna, ndr ). Così ho fatto".

A febbraio scopre di avere il Covid. Da lì inizia tutto. "Era il 23, avevo avuto contatti con una persona di famiglia positiva e per questo ho fatto subito il tampone, a mezzanotte è arrivato l’esito: positivo. Il giorno dopo, partite le contrazioni, è venuta l’ambulanza a prendermi per accompagnarmi in ospedale, essendo positiva non potevo andarci in altro modo. Il 25 ho partorito Anna. Non ho avuto grossi effetti, solo tosse secca e tachicardia. Ma avevo tanta paura, non potevo sapere se e come sarebbe evoluto".

Come ha vissuto in ospedale? "Ci sono rimasta fino a due giorni dopo il parto. Ero sola in una stanza, i sanitari venivano sempre a trovarmi completamente bardati. Di tutte le persone che mi sono state vicine in quel periodo, dai sanitari dell’ospedale a quelli delle ambulanze o i volontari della Croce Rossa ricordo solo voci e sguardi, in volto non ho mai potuto vederli".

Dopo quanti giorni ha visto sua figlia? "Ventidue. Appena è nata, son stata con lei appena un’ora. Poi l’ho sempre vista nelle foto e nei video che dalla clinica di neonatologia mi mandavano ogni giorno, assieme agli aggiornamenti. La bimba è dovuta restare in osservazione e comunque non poteva venire a casa, dove avevo i miei figli positivi e il marito in quarantena. Neppure lui poteva andare a trovarla".

Come avete fatto? "Finché è rimasta in ospedale, la allattavo grazie ai volontari della Croce Rossa che ogni giorno venivano a prendere il mio latte, annotando l’orario sulle etichette. Sono loro grata infinitamente per questo servizio. Dimessa, la bimba è andata dai nonni paterni perché io ero ancora positiva. Fino alla mia negativizzazione, dopo 34 giorni, ho tenuto Anna, ma sempre indossando la mascherina ffp2, avevo molta paura di contagiarla".

E per il resto? "Buona parte della mia famiglia era in quarantena, quindi non potevano aiutarmi. I miei suoceri e diverse amiche ci portavano da mangiare. Sono state veramente settimane difficili, ero sola ma non mi sono mai sentita abbandonata, tantissimi gli aiuti ed il sostegno ricevuti".

Cosa ha imparato? "Vivere da soli il momento del parto è qualcosa di anomalo reso complicato dalla pandemia. Il covid ha comportato molte restrizioni per tante mamme, ma anche un grandissimo aiuto e sostegno dal personale medico, dal primo all’ultimo, ginecologi, ostetriche, infermiere, neonatologi, le Usca, la Cri, i volontari delle ambulanze che mi hanno portata in ospedale e poi riportata a casa. Sono grata a tutti".