La scomparsa di Roberto Salvini Il bar alle Piagge, simbolo di un’epoca

Aveva 78 anni: ereditato il piccolo locale fondato dal padre nel 1957, ne prese le redini e lo fece crescere. Negli anni della contestazione diventò il ritrovo cult dei giovani di sinistra della città

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E’ scomparso Roberto Salvini, il creatore di uno dei bar più famosi della città, lui stesso personaggio a suo modo diventato famoso per la generosità e la grande simpatia. Aveva 78 anni e non stava bene da tempo.

Il bar Salvini, posto all’inizio delle Piagge quasi a sostegno del ponte della Vittoria, è stato uno dei luoghi cult di una generazione, quella che, in estrema sintesi, chiameremmo dei sessantottini. Negli anni Settanta fu, con piazza Garibaldi, luogo d’incontro dei ragazzi della sinistra, speculare alla “Borsa” dove invece si diceva che si raccogliessero quelli di destra. Il bar era nato nel 1957 e per il suo 50° anniversario la sua storia fu raccolta, con contributi diversi, in un libro, edito da Ets, realizzato a cura di Michele Battini e Davide Guadagni dal titolo "Come due treni in corsa". Nell’occasione, con le parole di Tanfucio, fu incisa dai Gatti Mézzi una canzone: "Dar Sarvini" che usava il bar come metafora di quanto fosse cambiata l’Italia dal dopoguerra al 2000.

Il padre Gino aveva fatto la Marcia su Roma ma poi era divento socialista e antifascista. Faceva il lattaio e portava il latte nelle case del quartiere delle Piagge. Fu nel ‘57, appunto, che decise di costruire un’edicola – una cosa minuscola, che crescerà con il tempo – all’inizio del viale: gazzose, spume, gelati e poi vennero la televisione, i flipper e il juke-box, un mitico Wurlitzer che nei primi anni ’60 spandeva fino alla riva opposta dell’Arno le note delle canzoni "proibite" di Fabrizio De André. Era in quel punto del viale che, nell’estate del ‘54, era stata organizzata la prima Festa dell’Unità, un punto magnifico del lungarno dove alla sera si potevano cogliere i refoli di vento che spiravano da Marina. Roberto era il più giovane dei quattro figli di Gino, quello che prese le redini del bar e ne realizzò la crescita. Se negli anni caldi della contestazione il bar fu la casa per decine di giovani "ribelli", Roberto era però socialista dichiarato e quasi stonava fra tutti quei ragazzi così implacabili con il sistema. Ma nessuno pensò mai di criticarlo perché lui era simpatico e brillante, un uomo dalla mente viva. In un anno nel quale gli affari gli andarono bene osò anche comprare una MG scoperta lasciando sconcertati i frequentatori del suo bar, ovviamente anti capitalisti. Giorgio Piccioni, che gli fu amico e che lo ha frequentato fino a quando la pandemia non ha cambiato il corso normale delle cose, lo ricorda così: "Roberto era un uomo di grande intelligenza, appassionato di scacchi. Si sentiva pisano nelle ossa, era generoso, era splendido. E ha anche aiutato molti. Quando ormai era uscito da dietro il banco e il bar era passato ai figli abbiamo continuato a vederci con altri amici in quel bellissimo locale lungo l’Arno per parlare di calcio e di politica. Spesso le nostre discussioni proseguivano a pranzo, tutti insieme, in qualche locale della città". In questo doloroso momento la nostra redazione è vicina alla moglie Anna e ai figli Emiliano e Donato.

Renzo Castelli