ENRICO MATTIA DEL PUNTA
Cronaca

"Il Vernacolo è ganzo, ma rischia l’estinzione"

Per questo il Circolo Arci Pisanova organizza corsi di cultura linguista pisana. L’esperto Vannozzi: "E non fa soltanto ridere"

di Enrico Mattia Del Punta

A scuola di Vernacolo, è l’idea del Circolo Arci Pisanova che, nel mese di febbraio, terrà dei veri e propri corsi con l’obiettivo di riscoprire la cultura linguistica pisana. "L’esigenza di unire alla grande attività sociale di questo circolo una branca concretamente culturale – spiega Roberto Merlino, responsabile cultura del consiglio direttivo del Circolo Arci Pisanova – ha portato all’idea di creare un percorso sul vernacolo pisano, per portare avanti questo importante bagaglio storico di questa città e di farlo con quello che noi pensiamo l’elemento di punta di questa lingua, che è il poeta e attore Miriano Vannozzi". E proprio a Vannozzi chiediamo di parlaci del vernacolo e della sua storia.

Vanozzi, qual è la differenza fra vernacolo e dialetto?

"Il vernacolo non è un vero e proprio dialetto per una peculiarità linguistica che lo localizza in un’area ristretta, ma anche per caratteristiche sue proprie che lo distinguono da un dialetto toscano più generale. La differenza si vede nei modi di dire, nella scrittura, e proprietà che lo legano al territorio pisano e locale".

Dove si studia?

"Il vernacolo non si studia, esiste chi si è preso la briga di fare una grammatica dettagliata e costruita, sotto forma di volume, come quella di Guido Guidi pisano doc, vernacolista, scomparso ormai più di dieci anni fa. Altrimenti si tramanda oralmente. Da un punto di vista linguistico c’è lo studio ad ottenere le stesse assonanze e l’uso dei modi di dire che abbiano un compendio di uniformità che però ad oggi si sta evolvendo. È da questa trasformazione italianizzata, sempre più annacquata, che arriva il rischio di estinzione del vernacolo".

Ma è sempre in uso?

"Dal momento in cui "ti sto a di’ delle ‘ose" ti sto parlando in vernacolo. Proprio morto non è, ma c’è il rischio che vada ad esaurirsi complice anche l’influsso dei social, che se volgiamo possiamo chiamarli "inquinamenti" ma possono anche essere intesi anche come evoluzioni della lingua".

Il vernacolo va d’accordo con i social?

"Non sono esperto di questo mondo virtuale, ma ad esempio il fatto della pronuncia della lettera "c", può essere esemplificata con l’uso della "k", che ho visto usare più volte. C’è il tentativo di ripercorrere queste forme rafforzative, in un modo contemporaneo con la scrittura dei social. Fa tutto parte di un sistema in evoluzione, il vernacolo si evolve, chi scrive ora non scrive più come scriveva il Fucini, è normale".

L’espressione invece che si è andata persa e quella che regge ancora botta?

"’Costì’ non lo senti più dire, ’Sorti di costì’ chi lo capisce più? Sono sempre meno persone che lo usano, mentre le più vigorose rientrano tra quelle ironiche, come "ganzo" o "brodo" (inteso come "ingenuo"). Il vernacolo viene interpretato spesso a torto come espressione di cose un po’ ridanciane".

È usato solo per far ridere?

" Leggete le mie poesie, ma anche nei miei spettacoli, mi diverto a creare degli stati d’animo nettamente contrastanti. È bellissimo far ridere, ma con il vernacolo si può anche far piangere. A volte si sfiora un po’ il ridicolo quando si vuole forzare la mano al significato delle cose. Ma confermo, con il vernacolo si può anche piangere".