"Così diamo un’identità ai corpi senza nome Il caso del giovane Francesco ha scosso tutti"

La dottoressa Spinetti (Laboratorio di Genetica forense) ha identificato i resti bruciati del 23enne comparando il Dna dei tessuti con quello della madre

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di Antonia Casini

PISA

Un caso che l’ha scossa "emotivamente e fisicamente". Eppure la dottoressa Isabella Spinetti (nella foto al centro), pisana, fa parte del Laboratorio Genetica Forense (Unità Operativa Medicina Legale, diretta dalla prof.ssa Emanuela Turillazzi) della nostra città dal 1987 (oggi lo dirige) e ha lavorato a drammi nazionali come quello della Moby Prince. Le sue analisi sono state determinanti nello stabilire che quei resti "fortemente carbonizzati" - come li ha definiti il medico legale Marco Di Paolo che domani farà l’autopsia - ritrovati domenica intorno alle 19.30 a San Martino Ulmiano, sono di Francesco Pantaleo, lo studente 23enne di Marsala scomparso dalla sua casa tra via Pietrasantina e Ingegneria il 24 luglio, come scriviamo anche sul nazionale.

Dottoressa, come ha cominciato?

"Il laboratorio è nato insieme alla Medicina legale, io sono entrata 34 anni fa con un dottorato di ricerca in Scienze Mediche Forensi a durata quinquennale: vinsi un concorso che era riservato a laureati in Scienze Biologiche. Il mio maestro, il prof Marino Bargagna, allora direttore di Medicina legale, mi introdusse a questa disciplina. All’epoca non si lavorava con il DNA (che è stato applicato dopo alla genetica forense). L’unico materiale utile a fini identificativi era il sangue umano e infatti si chiamava ’Laboratorio di Ematologia forense’".

E come si procedeva?

"Per quanto riguarda la criminalistica, c’era la necessità che la persona che aveva commesso il fatto delittuoso avesse sanguinato per poter identificare il colpevole. Alla luce delle nuove tecnologie, con lo studio del Dna, è stato possibile riaprire i cosiddetti cold-case (delitti irrisolti, ndr)".

Ma da dove si può estrarre il Dna?

"Da qualunque cellula del corpo umano: sangue, capelli, sperma, saliva ecc.".

Laboratori simili in Italia?

"Si trovano nella maggior parte delle Medicine legali italiane. Esiste un gruppo di lavoro GeFI (Genetisti Forensi Italiani) che ha lo scopo di promuovere lo sviluppo della Genetica forense ed al quale afferisce la maggior parte dei professionisti che operano in questo settore, me compresa. A Pisa stiamo cercando di ottenere la certificazione del laboratorio, indispensabile per l’inserimento dei profili genetici in Banca dati del Dna. Ci sono poi i laboratori dell’Arma dei carabinieri (Ris), del Servizio di polizia Scientifica, ed anche laboratori privati".

Quanto tempo ci vuole per comparare il Dna?

"A fini identificativi o in altri in cui il cadavere (come per questo giovane) è carbonizzato o in avanzato stato di decomposizione, occorre determinare il profilo genetico del soggetto da identificare, una volta trovati tessuti utili. Il tempo varia a seconda del tessuto. Con le ossa i tempi si allungano. Successivamente occorre procedere al confronto con profili di riferimento".

Da dove viene prelevato il materiale?

"Si ricorre spesso o a oggetti personali che contengono materiale biologico, come il rasoio da barba, il pettine, lo spazzolino, un indumento personale utilizzato, un bicchiere ecc. Oppure dai presunti prossimi congiunti, di solito la madre. Per quest’ultimo caso, si è fatto un doppio riscontro con la mamma e con gli oggetti personali del ragazzo".

E il responso è affidabile?

"Il profilo che risulta dai tessuti prelevati dal corpo da identificare e quelli presi dagli oggetti dovranno essere identici. Per quanto riguarda, invece, il riscontro con il profilo genetico del genitore: poiché ogni soggetto possiede metà caratteristiche della madre e metà del padre, in ogni regione studiata una delle due caratteristiche devo ritrovarla uguale. In questo caso la probabilità che emerge risulta altissima.Per lo studente abbiamo fatto entrambe le verifiche".

Che idea si è fatta di questa storia tragica e dolorosa?

"Occorre attendere l’esame autoptico. Anche se la tac non ha evidenziato segni di violenza. Viste le prime indicazioni del medico legale e la contemporaneità della scomparsa del 23enne e del ritrovamento, l’Ag ha subito ipotizzato che i resti appartenessero a Francesco Pantaleo. Per arrivare all’identità, siamo partiti immediatamente ma con molta riservatezza per proteggere sia le indagini che i genitori".