Chiese chiuse, restauri e burocrazia

’Pisa ha una chiesa che non ti rapisce il cuore: Sant’Antonio in Qualconia. Chiusa da tempo immemorabile, ci passi con un bicchiere di vino e con un panino e non gli daresti due lire. Però all’interno ha un importante soffitto ligneo seicentesco, riscoperto anni fa. Bene: è crollato per incuria, e nel silenzio generale.

C’è poi la chiesa di Santa Marta, un gioiello di quelli con gli stucchi, che il volgo disperso che nome non ha passa e dice: sembra una bomboniera. Il tetto è sconnesso, soffia il vento e infuria la bufera, intanto la chiudiamo, ma dovrebbero partire i restauri.

Anni fa la maledizione dei tetti sconnessi colpì la chiesa di San Francesco. E’ stoppinata da una vita, e le impalcature sostengono il tetto che altrimenti rovinerebbe. Sono impalcature affittate, che non stanno lì per grazia divina, ma costano. Siccome è una chiesa demaniale, il pubblico paga non per restaurare, ma per sostenere le capriate.

Si dice che i soldi per il restauro ci siano, e che non vengano spesi solo per vari impigli burocratici. Ecco, così si fa.

Esiste poi la bella chiesa romanica di San Silvestro, con una facciata settecentesca che è un amore.

Non è in pericolo, ma è chiusa da sempre. Si dice che sia previsto un suo impiego diverso e magnifico, ma a Pisa le cose così durano una vita.

Non ci sono denari, e la Chiesa (e la Fondazione Pisa, benemerita) investono quel che possono e come possono (San Paolo a Ripa d’Arno, ad esempio), ma i tempi sono questi, e temo che dovremo aspettarci il peggio.