Lockdown. Cento giorni in un casale sperduto nella campagna di Farnesiana, località dell’alto Lazio, e un protagonista dal passato ‘ingombrante’. E’ questo il set del docu-film ‘Corpo dei giorni’, vincitore al Torino Film Festival 2022, come miglior documentario italiano, e in attesa di essere distribuito nelle sale. Cinque giovani registi del collettivo Santabelva di cui tre pisani doc, Henry Albert, Nikola Lorenzin, Niccolò Natali e due pugliesi Gianvito Cofano e Saverio Cappiello, alle prese con la storia dell’ex terrorista nero empolese, ergastolano, Mario Tuti. L’uomo che in passato incarnò il male assoluto, nel film è piuttosto "un anziano alla ricerca dell’umanità dietro ai suoi colossali ideali", spiega Henry Albert. Una tela sostenuta da una cornice del tutto singolare: il film è una fotografia prolungata del presente nei giorni della pandemia e delle chiusure forzate, quando Tuti, come altri detenuti, fu scarcerato dai giudici per il rischio Covid (o per altre patologie) e passò i domiciliari nel casolare di Pio Stendardi. Le vite del protagonista, Tuti, e dei co-protagonisti Pio, i manutentori Raffaella e Nazareno, e della troupe di cineasti si intrecciano in un confronto a più voci, racconti e generazioni, immerso nello spazio-tempo sospeso del casale. Cosa rimane di quel temibile uomo a 48 anni di distanza dal suo arresto, avvenuto il 27 luglio del 1975? Come raccontare questo personaggio controverso e oscuro? "Mario viene ricostruito nel confronto con la sua stessa storia - sottolinea Albert -, mentre legge la sua pagina Wikipedia o sfoglia le immagini d’archivio. Abbiamo messo in relazione l’uomo invecchiato in un regime carcerario con il passato che lui non rinnega per nulla: ci siamo scontrati con il violento e impenitente fascismo di Mario. Ci sono state anche delle parti della sua storia che non è riuscito a ripercorrere, si è aperta in lui la crepa più grande all’interno del tentativo di ‘snidare la vipera’". "E’ stato un lavoro lungo e complesso - aggiunge -. Noi così distanti e in piena opposizione da tutto ciò che simboleggia Mario, abbiamo raccontato questa storia con grande consapevolezza e attenzione al tema e alle scelte registiche per affrontarlo". "Francamente non ci aspettavamo la vittoria - conclude Albert -. Ciò che ci rende orgogliosi è aver trasmesso l’ideale che ci guida quotidianamente nel nostro lavoro: in un’ondata anomala di prodotti audiovisivi, è giusto riflettere, interpretare e scegliere le immagini che si producono per rendere il flusso accrescitivo non solo per gli ‘addetti ai lavori’, ma specialmente per il pubblico". Ilaria Vallerini