Affreschi del Camposanto, «Con i batteri mangia-colla abbiamo salvato un tesoro»»

I ricordi di Giancarlo Ranalli, l’inventore dei batteri mangia-colla

Il professor Giancarlo Ranalli

Il professor Giancarlo Ranalli

Pisa, 15 giugno 2019 - È FRA i ‘salvatori’ degli affreschi del Camposanto di Pisa. Giancarlo Ranalli, Ordinario di Microbiologia all’Università del Molise, è l’inventore del sistema di ‘biopulitura’ che, attraverso i batteri mangia-colla, ha liberato dalle tenaci colle animali le straordinarie creazioni di Buffalmacco, Benozzo, Spinello e altri. Per salvare gli affreschi del Camposanto dall’incendio che seguì al bombardamento del 1944, si decise difatti di strapparli dalle pareti applicando colla e garze, finanche reti. Un salvataggio in emergenza che aveva però compromesso le superfici pittoriche. Così, quando venti anni fa l’Opera della Primaziale diede inizio al restauro dei cicli del Camposanto, Ranalli fu fra i primi ad essere chiamato nella squadra di esperti di quella straordinaria operazione. Altri suoi batteri, che inducono rimozione di solfati e nitrati o creano precipitazione di calcite, sono stati invece utilizzati in lunette del Duomo di Milano e sulle pareti esterne di quella di Matera e Valencia. E persino in alcune prove di biorimozione di gesso sul basamento della Pietà Rondanini di Michelangelo.

Professor Ranalli, si può dire che lei ha ‘nobilitato’ i batteri?

«Per luogo comune, i microrganismi sono sovente associati a degrado, perdita di salute, e percepiti in modo negativo. In verità sono intorno a noi e in molti casi, come nel microbioma del nostro intestino, ci consentono di mantenere l’equilibro dinamico garantendo una buona salute. Lo stesso vale per i Beni Culturali, dove spesso i batteri sono visti sol come agenti di degrado, come “barbari”. Ecco, noi abbiamo in un certo senso ribaltato questo ‘pregiudizio’».

Come è nata l’idea di usare in positivo i microrganismi?

«Nel 2000, mi trovavo nel laboratorio di restauro degli affreschi. Gianni Caponi, allora capo restauratore, si trovò dinnanzi a un caso molto complesso. Adoperando le tecniche tradizionali non riusciva a liberare da colle i teli della Conversione di S. Efisio e Battaglia di Spinello Aretino. Mi guardò e mi disse: ‘Con i tuoi bacherozzi non puoi fare nulla?’. Fu la scintilla per l’avvio di una riflessione e di miniprove e minitest».

Cosa fece?

«Raschiammo una piccola porzione di colle, le portammo nei laboratori dell’Università del Molise e da lì iniziammo, con la tecnica dell’arricchimento culturale, a fare una selezione di batteri. Dovevamo trovare quelli in grado di neutralizzare la colla per consentire ai restauratori di rimuovere anche le garze».

Come avvennero le prove?

«In laboratorio adottammo la tecnica delle colture di arricchimento: essa consiste nell’imporre ad esempio in una provetta la colla alterata e indesiderata, come unica fonte di “cibo” a milioni di batteri di specie diverse già naturalmente presenti in una piccola quantità di terra. Dopo alcuni mesi, la nostra attenzione venne riposta solo a quei batteri adattatisi alle nuove condizioni di vita: identificato come Pseudomonas stutzeri ceppo A29. In pratica fu una unica specie a ‘decidere’ di mangiare la colla per sopravvivere. L’esperimento finale avvenne su piccole porzioni di affreschi secondari. La prima volta, su una ampia superficie di 27 metri quadrati, per vedere l’effetto, ci vollero dodici ore. Nelle successive, invece, ne sono state sufficienti molte di meno».

Come venivano applicati sull’affresco?

«Le sezioni degli affreschi da biopulire era posti in orizzontale, quindi venivano coperte con strisce di cotone imbibito a rullo con sospensioni batteriche vitali di Pseudomonas stutzeri».

Ma è vero che, ogni volta, spediva i batteri a Pisa con il corriere espresso?

«Esatto. Infatti la settimana antecedente, in laboratorio i batteri veniva coltivati in fermentatore, quindi in genere, il lunedi successivo venivano concentrati, rigorosamente conservati in ghiaccio e spediti. Giunti a Pisa, i restauratori li riportavano alla temperatura necessaria per attivarli, li diluivano in acqua e poi li stendevano sull’affresco».

Questo metodo ha dei costi molto alti?

«Abbiamo fatto una analisi comparata con il più comune uso di enzimi e di agenti chimici. La nostra tecnica di biopulitura ha con questi un rapporto di 1 a 3. Quindi è molto più economico e ha anche il pregio di essere sostenibile».

Cioè?

«I batteri mangia-colla sono già presenti in natura e non sono sporigeni, cioè non hanno la possibilità di passare in una fase di dormienza in condizioni di stress ambientali. Così dopo l’uso e le successive fasi di delicate spugnature degli affreschi con acqua ed asciugatura delle superfici, i batteri muoiono e quindi non si rischia una eventuale ripartenza di una loro attività che altrimenti non potremmo controllare».