Pisa, 30 gennaio 2013 - Il 22 ottobre 2012 nostro padre è stato condannato insieme agli altri membri della Commissione Grandi Rischi a sei anni di carcere e al pagamento di una cifra di indennizzo che mai e poi mai una normale famiglia come la nostra potrebbe pensare di mettere insieme, nemmeno impegnandosi per le prossime generazioni.

L’imputazione è omicidio colposo plurimo e lesioni aggravate, per i tragici eventi del terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009.

Per la prima volta degli scienziati, a cui era stato richiesto un parere tecnico, sono stati ritenuti responsabili penalmente per la morte dei cittadini rimasti coinvolti in un terremoto.
Ogni volta l’ipotesi di una “mancata previsione” come possibile motivazione della condanna è stata suggerita, facendo presente che, fino ad oggi, nessuno al mondo è mai stato capace di prevedere i terremoti, molti si sono indignati e hanno fatto slittare l’accusa sul piano della comunicazione rassicurante che è stata data alla popolazione.

Per quale motivo sono stati condannati?

Cerchiamo di tornare con la memoria a quel periodo.
C’era uno sciame sismico in atto: piccoli terremoti che si ripetevano frequentemente da settimane. (Ci sono zone d’Italia e del mondo in cui questi fenomeni durano per anni, senza che si verifichi mai un evento distruttivo). C’era un tecnico, Giuliani, che si era improvvisato esperto di terremoti, gridava di avere tra le mani un metodo infallibile per la previsione dei terremoti e aveva preannunciato che una forte scossa avrebbe colpito Sulmona (per fortuna non lo hanno ascoltato, perché se gli abitanti di Sulmona si fossero trasferiti in blocco a L’Aquila, il numero delle vittime si sarebbe moltiplicato).

Erano momenti di grande tensione, senza dubbio. La popolazione allarmata, voleva una risposta sicura, delle istruzioni precise su cosa fare. E chi poteva fornirgliela questa risposta?
La Protezione Civile aveva il dovere di contenere il panico che, dopo le affermazioni di Giuliani, stava dilagando. Non c’erano ragioni scientifiche per poter affermare che un forte terremoto si sarebbe verificato. Non secondo i metodi statistici e le analisi comparative che sono il principale strumento di studio dei fenomeni sismici.
Il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, sotto il peso di un’enorme pressione, decise di organizzare frettolosamente una riunione straordinaria della Commissione Grandi Rischi a L’Aquila, allo scopo di ottenere una rapida opinione su quello che sta accadendo, ma soprattutto per far vedere alla popolazione che si sta facendo qualcosa. E fin qui la faccenda può essere considerata una reazione umana e comprensibile.
Gli scienziati dell’INGV e della Commissione Grandi Rischi monitoravano costantemente il fenomeno, ma non erano in grado di esprimere previsioni.
Non essendo stato studiato un piano di evacuazione, o di emergenza, la Protezione Civile decide di trasmettere un messaggio alla cittadinanza con lo scopo di mitigare la preoccupazione dilagante. Viene indetta una conferenza stampa in cui il responsabile della Protezione Civile, l’Assessore Regionale ed altre autorità locali comunicano che, secondo gli strumenti a disposizione degli esperti e sulla base di un esame della storicità dei fenomeni, “non ci sono ragioni valide per credere che debba verificarsi una grossa scossa in tempi brevi”.
Questo è, né più né meno, quanto gli scienziati erano in grado di esprimere, con i dati e le conoscenze a loro disposizione, e questa è probabilmente la stessa conclusione a cui tutti gli esperti del mondo giungerebbero anche oggi, se dovesse ripetersi una situazione analoga.

I media, come spesso accade, distorcono l’informazione e il messaggio diventa infine: “State tranquilli non c’è niente da temere, lo hanno detto gli esperti”.

Poi, la sfiga entra in azione, nessuno poteva prevedere che la fatale terribile scossa di terremoto si sarebbe verificata nella notte del 6 aprile; le case crollano, la città viene distrutta, la gente muore.
Scene atroci, strazianti, che mai nessuno vorrebbe vedere, ma che purtroppo si sono già viste molte volte nel nostro paese altamente sismico, anche recentemente nel caso dell’Emilia Romagna.

A questo punto scatta la necessità di trovare un colpevole. Non so esattamente da chi sia partita l’azione legale, suppongo da un gruppo di parenti delle vittime, che avendo identificato l’anello debole del sistema non hanno esitato a scagliarvisi contro, spinti da un profondo e comprensibile dolore per la perdita dei familiari e dalla frustrazione di non aver ricevuto dal Governo un aiuto adeguato.
La Commissione Grandi Rischi è un organismo che lavora per lo Stato, pertanto direttamente attaccabile, in quanto organismo statale può essere chiamato in causa, gli si può anche chiedere quel risarcimento che sentono di meritare e di non aver ricevuto. Ben pochi sanno che la Commissione Grandi Rischi non percepisce compensi per il proprio operato, ma solo rimborsi spese per le trasferte.

Purtroppo però né queste persone, che giustifico in quanto emotivamente distrutte e dominate da un umano e incontenibile impulso di rabbia, di impotenza, né i procuratori che hanno curato per loro la causa penale, hanno tenuto conto che accusare dei ricercatori della morte di decine di persone è una cosa gravissima, pesantissima. Nessuno nega la tragicità degli eventi, ma purtroppo ogni terremoto ha delle vittime, la storia sismica del nostro paese disgraziatamente riporta centinaia di vittime in Irpinia, in Friuli, in Emilia Romagna, in Sicilia, ecc.

Non conosciamo personalmente tutti i membri della Commissione Grandi Rischi, ma conosciamo bene Franco Barberi, nostro padre. Sappiamo con quali principi morali e valori umani ci ha cresciuto, con quanta serietà e onestà abbia da sempre affrontato il suo lavoro e le sue responsabilità. Chi conosce Franco Barberi sa bene di cosa stiamo parlando.

Subito dopo la sua nomina a capo della Protezione Civile, nel 1995, si verificò il terremoto dell’Umbria. Una situazione di grave emergenza, che ancora oggi sentiamo spesso definire, da chi ci ha lavorato o l’ha vissuta, con le parole “gestita magistralmente”. I tempi di allestimento dei rifugi furono brevissimi, fu immediatamente stilata una lista degli edifici danneggiati e una graduatoria degli interventi di ristrutturazione, e le persone hanno ricevuto i fondi che erano stati assegnati nel giro di pochi anni.
Niente di clamoroso o eclatante come le New Cities di Berlusconi, certo, ma un piano concreto per far rientrare le persone nelle loro case il prima possibile, per aiutare i Comuni a migliorare lo stato dei palazzi, secondo le norme antisismiche previste dalla legge.

Sentiamo il dovere di citare ancora una volta il famoso Rapporto Barberi, uno studio dettagliato sulla vulnerabilità degli edifici in Italia, una catalogazione degli edifici, associati al grado di pericolosità delle singole zone, realizzato dalla Protezione Civile nel 1999 e consegnato a tutti i Comuni d’Italia. Un documento mastodontico e accuratissimo, fino ad oggi totalmente ignorato dalle amministrazioni, che non hanno mai considerato di pianificare un graduale intervento di consolidamento, forse perché, come successivamente dichiarato anche dallo stesso Bertolaso “non sono queste le azioni che portano voti ai politici in Italia”.
Un’indifferenza che trova supporto anche nella preoccupante affermazione contenuta a pag. 296 della sentenza di condanna:
“La tesi secondo la quale l’attività di riduzione del rischio sismico consiste solo nel miglioramento delle norme sismiche, negli interventi di consolidamento strutturale preventivo e nella riduzione della vulnerabilità delle strutture esistenti … dunque, non costituisce solo oggetto di un’eccezione difensiva ma rappresenta, secondo gli imputati, il prevalente, se non addirittura l’unico, strumento di mitigazione del rischio sismico. Tale tesi difensiva appare assolutamente infondata. In tema di valutazione e di mitigazione del rischio sismico, l’affermazione secondo la quale “l’unica difesa dai terremoti consiste nel rafforzare le costruzioni e migliorare le loro capacità di resistere al terremoto” appare tanto ovvia quanto inutile”.
Quello che ci ha colpito di più in tutta questa vicenda è stata l’atmosfera, pesantissima, in cui le udienze si sono svolte, il taglio psicologico che è stato dato a questo processo. Un muro di parenti delle vittime, in mano le foto dei loro cari deceduti durante il terremoto. Rabbia, odio, rancore, desiderio di vendetta, alimentati da un PM senza scrupoli, avvelenato, che usava il proprio potere per caricare le emozioni e la disperazione (ripeto assolutamente comprensibili) del pubblico, puntando il dito verso un colpevole da smascherare e distruggere.

Hanno tentato tutte le possibili strade, finché  non hanno trovato quella che ha convinto il giudice ad esprimere un verdetto. Hanno provato a criticare l’operato degli scienziati (manovra che ha rivelato la prevedibile incompetenza del PM in materia e che è stata facilmente smontata da tutti i testimoni, esperti a livello internazionale, che hanno deposto confermando che coi dati a disposizione nessun altro tipo di analisi scientifica o di previsione diversa da quella effettuata dalla CGR sarebbero state possibili). Successivamente hanno imboccato la strada delle presunte rassicurazioni date alla cittadinanza, ma anche in questo caso non sono emerse le prove sufficienti: il verbale della riunione non conteneva traccia di rassicurazioni, e il successivo comunicato stampa non era stato redatto dai membri della Commissione Grandi Rischi, ma dagli Amministratori locali e dalla Protezione Civile.
Infine, l’intercettazione telefonica di Bertolaso, e l’insinuazione che la riunione straordinaria indetta a L’aquila il 31 marzo fosse stata una farsa organizzata a tavolino allo scopo di calmare la popolazione.
Anche Bertolaso non esita a scaricare la responsabilità  delle parole da lui pronunciate alla Commissione, dicendo che questo è quanto lui aveva capito dalle dichiarazioni degli esperti.

Come stono state valutate le altre responsabilità, quelle del Capo della Protezione Civile, degli Amministratori, del Prefetto? Come mai nessuno di loro compare nelle liste degli indagati? Non era compito loro valutare il rischio e prendere decisioni per la tutela della cittadinanza? Queste non sono azioni e responsabilità che competono a degli scienziati chiamati ad esprimere un parere tecnico. Senza considerare il fatto che un’eventuale decisione di evacuare le case avrebbe comportato la necessità di allestire tendopoli e alloggi di emergenza, di spostare migliaia di persone dalle proprie case, quindi una spesa e uno sforzo non indifferenti, e se poi il terremoto non si fosse verificato? Gli esperti sarebbero stati inquisiti per procurato allarme e spreco di denaro pubblico, come già accaduto al tempo di Zamberletti nel 1985, in occasione di un possibile terremoto annunciato in Garfagnana, che non si verificò mai. E se dopo mesi di tendopoli, con tutti i conseguenti disagi, si fosse deciso di far rientrare la popolazione nelle loro case e la scossa devastante fosse arrivata allora? Nessuno si pone queste domande e soprattutto sa dare una risposta.

Il giudice ha deciso di condannare gli imputati a sei anni di reclusione, invece che a quattro, come richiesto dal PM. Anche questa ci sembra un atto grave e senza precedenti, che suggerisce una riflessione, sul grado di colpevolezza che evidentemente deve essere stato riconosciuto ai membri della Commissione Grandi Rischi.

La risposta all’arcano si trova probabilmente nelle 950 pagine della sentenza! 950 pagine! deve essere stato difficile motivarla, questa sentenza!

Riteniamo infine, in quanto persone coinvolte emotivamente, che soffrono nel vedere il proprio padre umiliato e trattato alla stregua di un cinico assassino, che sia ingiusto e pericolosissimo che a certi personaggi venga dato il potere di distruggere, con tanta leggerezza, la vita, la carriera e la reputazione delle persone.
Ma l’onestà in questo paese sembra che disturbi, intralci e debba essere punita.

Concludiamo citando ciò che disse un giorno nostro padre e che molto spesso da quel giorno, ci rimbalza nella testa:

“Se c’è una cosa che ho capito bene in questa vita e che sento di dover comunicare agli altri è che è pericolosissimo giocare con la politica senza essere un politico”.



Francesca, Paolo e Valentina Bàrberi