#ioleggopisano: Samantha Macchia fa il bis

Ritorna la rubrica con gli scrittori "di casa nostra"

Samantha Macchia

Samantha Macchia

Pisa, 25 maggio 2020 - Ritorna la nostra rubrica #ioleggopisano, oggi fa il bis Samantha Macchia.

Chi è - Di sè dice "Mi chiamo Samantha Macchia sono nata e cresciuta a Pisa 46 anni fa, sposata da 23 anni con Massimo (fidanzati praticamente da sempre) abiamo due figli di 18 e 13 anni. Lavoro come impiegata amministrativa in un'azienda, ma le mie passioni sono la cucina, in particolar modo la pasticceria e la scrittura, che costituisce il mio piccolo sogno nel cassetto. Lettrice onnivora e accanita fin dalla tenera età, proprio da piccola, mi piaceva comporre poesie e racconti che però si sono persi negli anni. Avevo poi abbandonato l'esercizio di scrivere perché troppo “presa” dalla vita di tutti i giorni che assorbiva tutte le mie energie. Qualche anno fa ho iniziato quasi per caso la stesura del mio primo romanzo "Ali in gabbia" pubblicato con la casa editrice Lettere Animate, mentre nel 2018 è arrivato il sequel "Mai più senza me". Si tratta di due storie atipiche perché affrontano il delicato tema della violenza contro le donne, sfiorando i contorni del giallo psicologico. Oltre alla pubblicazione di questi due romanzi, ho partecipato a diversi concorsi letterari sfociati nella stampa di alcuni racconti, di cui l'ultimo su un'Antologia edita dalla Senso Inverso Edizioni. Da poco collaboro con il magazine on line "La gazzetta del Gusto". Sono una delle socie fondatrici di "Wewrite", sezione letteraria creata all'interno dell'associazione “I Cavalieri” con lo scopo di promuovere e divulgare la scrittura, in particolare quella femminile".

INVISIBILI

La sveglia, implacabile, suona insistente strappando Carlotta al sogno che stava facendo.

Ultimamente, a causa della crescente preoccupazione per questa epidemia che sta chiudendo tutti in casa e mietendo migliaia di vittime, fatica a prendere sonno.

Anche durante la giornata la sua apprensione è sempre presente, la sua attenzione sempre alta. Non può permettersi di abbassare la guardia, né di sottovalutare il problema: Carlotta fa l’operatrice sanitaria in una casa-famiglia che accoglie dodici ospiti, alcuni con disabilità, altri affetti da patologie psichiatriche.

Sono persone difficili da seguire, a tratti faticose. Hanno bisogno di essere aiutati a rispettare regole che spesso non comprendono, alcuni devono essere lavati, aiutati a vestirsi, accompagnati fuori per attività ricreative o per visite mediche.

Carlotta divide i suoi compiti con altri operatori sanitari, infermieri, un medico di turno e assistenti sociali. Sono tutte persone molto in gamba, votate alla missione, più che allo stipendio esiguo che percepiscono. A volte si può essere comprensivi, altre è necessario adottare una linea più dura, molto dipende dal carattere personale. Lei cerca di essere sempre positiva e tollerante con gli ospiti della struttura. Non li chiama mai “pazienti”, quello non è un ospedale e lei vuole che loro assaporino un senso di “normalità” che dalla vita, purtroppo, è stato negato.

L’età media delle persone accolte si aggira intorno ai cinquant’anni, ma spesso si ha a che fare con eterni bambini. Diversi di loro non hanno più una famiglia o sono stati letteralmente abbandonati. Altre famiglie, invece, sono state costrette a portarli in questa struttura per il loro bene, ma continuano a seguirli con amore e apprensione.

Visto il carattere solare di Carlotta, molti dei ragazzi la adorano e la ricompensano con un sorriso, con i loro grazie, con il loro affidarsi totalmente a lei. Non è semplice affrontare questo periodo, per i suoi invisibili, come li chiama nella sua mente. La pandemia globale è una cosa che non capiscono. Sanno che c’è un virus potenzialmente molto pericoloso, che l’Italia e il mondo intero lo stanno contrastando con le misure restrittive, ma tutto questo per loro si traduce solo in una serie di divieti che non comprendono fino in fondo.

Non possono uscire per svolgere tutte le attività ricreative che di solito vengono organizzate per tenerli occupati e dinamici; i parenti non possono venirli a trovare, ma solo vederli dalla finestra, i volti coperti da mascherine, che impediscono loro di cogliere le sfumature dei volti.

Quella delle mascherine è una lotta. Obbligarli a metterle, non farsele togliere… mantenere un distanziamento sociale, in un luogo che è sociale per antonomasia, è pressoché impossibile.

Questo isolamento forzato, in una realtà come quella della casa-famiglia, in cui si lavora quotidianamente per cancellare dalla mente degli ospiti la solitudine e l’esclusione a cui sono stati sottoposti dal destino, mina profondamente gli equilibri. Fortunatamente, pensa Carlotta, dalla prossima settimana dovrebbero partire i test e i tamponi nelle strutture come la loro, dando modo di lavorare più serenamente, ma fino a che non potranno riacquistare un minimo di autonomia e libertà di movimento, faranno i conti con situazioni critiche e delicate.

Carlotta si prepara come ogni mattina, monta in sella alla sua bicicletta variopinta e parte con uno zaino pieno di giochi, colori e materiale da disegno: l’unico modo per tenerli occupati e è con lavori manuali, per cui lei cerca sempre di trovare nuovi spunti. La sua bici è il risultato di uno di quegli spunti: era una bici vecchia, senza grosso valore, per cui un giorno ha chiesto ai suoi ragazzi di renderla bella. Ne è venuta fuori un’accozzaglia di colori, bottoni e fiori da far invidia ai più creativi pittori futuristi. Per lei è bellissima.

Arriva a destinazione e nota subito un certo fermento. C’è il furgoncino di un bar della zona parcheggiato fuori e Sara, la cuoca, si sbraccia in ringraziamenti e saluti, mentre un uomo, un po’ in imbarazzo per tutta questa manifestazione di gratitudine, risale sul mezzo e andandosene la saluta con la mano.

Entra e scopre il mistero, tra l’eccitazione generale: Fabio, il titolare di un noto bar vicino alla casa, che conosce i ragazzi e deve aver immaginato le problematiche legate al momento non proprio roseo, ha deciso di portare in regalo due enormi vaschette di gelato multi gusto, scatenando reazioni di gioia incontrollata.

Ecco cosa potranno fare oggi! Dei bei biglietti di ringraziamento da fare avere a Fabio! Perché sembra un piccolo gesto, ma è di queste azioni che l’umanità ha bisogno.

Piccole cose, che fanno grande una giornata altrimenti uguale a mille altre, piccoli segni che vanno oltre il pregiudizio, oltre l’indifferenza e che possono rendere questi ragazzi e tutti gli altri nella loro situazione, meno invisibili.