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UNA LEGGE ingiusta, indegna di un paese civile, impedisce di potersi assentare dal lavoro per malattia a chiunque debba sottoporsi a esami e visite per subire un espianto di organo da donare a un’altra persona che soffre, quasi sempre un familiare. Per la Repubblica Italiana chi salva la vita di un figlio o di un altro congiunto non ha diritto a niente. Se vuole donare un organo lo fa a sue spese, nel senso proprio del termine, perché deve essere pronto a rinunciare prima di tutto al lavoro, deve insomma licenziarsi. E’quanto accaduto nel 2003 fa a Irene Vella, la giovane donna che lasciò l’impiego a Pisa per donare un rene al marito Luigi. La coppia — che aveva già una figlia, Donatella (oggi ha 10 anni) — balzò all’onore delle cronache nazionali. Irene — che oggi fa la giornalista e vive felice con la sua famiglia a Cesenatico, dove il marito è allenatore di calcio — è stata anche la prima donna italiana ad avere un figlio dopo aver subito l’espianto di un organo. Si tratta di Gabriele, nato nel 2004. «Un’esperienza bellissima, unica e irripetibile» che — racconta — è anche diventata un libro, Io se metto al mondo un figlio lo faccio alle 5.42 (perché entrambi i bambini sono nati a quell’ora), presentato proprio a Pisa nel giugno scorso. Fu quella l’occasione per rilanciare la sua battaglia contro «la legge più assurda che c’è, la n. 458 del 1967, alla quale manca il regolamento attuativo, atteso da oltre 40 anni». Incredibile ma vero. Così quando ha appreso da Facebook una storia in tutto simile alla sua non ha perso tempo e ha subito contattato la mamma di Tommaso, il bambino di 4 anni al quale i medici del Gaslini non avevano dato speranze di un trapianto da donatore vivente. La mamma di Tommaso, Stefania, aveva aperto un gruppo di discussione sulla donazioni di organi, che in poco tempo ha raggiunto i 23mila iscritti. Le due donne sono diventate amiche, Stefania ha potuto conoscere il professor Boggi a Pisa e il marito — dopo aver rinunciato al lavoro di architetto per un’agenzia immobiliare — ha potuto donato un rene al figlio. Sul popolare social network Irene e Stefania (nella foto) sono state ribattezzate le «Sorelle di Facebook» e la loro storia è davvero un esempio di coraggio e amore senza confini per le proprie famiglie.
Guglielmo Vezzosi