2008-08-24
di GIUSEPPE MEUCCI
«LA VIA della rivoluzione è lunga e piena di sangue», disse Luciano Serragli, proprietario del ristorante “l’Archetto” in via la Nunziatina, quando il 14 febbraio 1971 seppe che durante la notte c’era stato un attentato a Marina di Pisa e un giovane aveva perso la vita. Si chiamava Giovanni Persoglio, figlio del titolare dell’impresa di costruzioni “Gambogi”. Aveva trent’anni ed era sposato e padre di una bambina. Si trovò a passare in auto sul lungomare verso le due di notte, proprio quando dalla saracinesca di una macelleria cominciava a sprigionarsi un filo di fumo. Si fermò per dare l’allarme e appena di fronte al negozio esplose un ordigno. Lo spostamento d’aria lo scaraventò a terra e uno spezzone di ferro gli recise di netto l’arteria femorale. Morì dissanguato sul marciapiede, mentre la moglie gli teneva sollevata la testa nell’inutile attesa di un’ambulanza.

DOPO QUELLI della contestazione sessantottesca utopistica e velleitaria cominciavano gli “anni di piombo”. Il terrorismo stava facendo i primi passi e Pisa era uno dei crocevia dell’eversione rossa. Un altro protagonista di questo giallo in cui si mescolarono sesso e fantapolitica, iniezioni al curaro e dinamite, fu il geometra Alessandro Corbara, poi accusato di essere stato la «mente» dell’attentato. Fu lui che nella stessa occasione disse: «Ma guarda, coi tempi che corrono quello si va a fermare dove esce il fumo…». Dopo tre mesi di indagini però l’attentato era ancora un mistero. Sospetti tanti, certezze nessuna. Il ristorante “l’Archetto”, dove l’attentato di Marina fu progettato, era un punto di ritrovo degli estremisti pisani. Alle accese discussioni politiche in cui si fantasticava di rivoluzione e lotta armata, partecipavano lo stesso Serragli, il Corbara che era dipendente della Provincia, uno dei camerieri, Vincenzo Scarpellini, che lavorava anche come infermiere a Santa Chiara e altri avventori. Poi c’erano la moglie del Serragli, Elsa Maffei, e la figlia sedicenne Paola. La prima era una donna ormai sfiorita ma non arresa, l’altra forse sbocciata troppo presto. Loro leggevano i fotoromanzi, la politica le annoiava e non se ne occupavano. Infine c’era un altro cameriere, un dongiovanni da strapazzo, avido di conquiste: Glauco Michelotti. Anche lui nulla a che vedere con la politica, ma piuttosto impegnato ad applicare alla lettera il vecchio detto popolare “…prima la madre e poi la figlia”. Elsa, tanto per cominciare e dopo la giovanissima Paola.

POI IN QUESTO GIALLO pisano comparve nientemeno che un raro esemplare di orthosia munda, una farfalla notturna che si sveglia ai primi tepori della primavera. Era quella che lo studente Stefano Talocchini, entomologo dilettante, cercava quando la notte fra il 18 e il 19 maggio 1971 si arrampicò in un luogo impervio, un crepaccio inesplorato sopra ad Asciano, vicino alla Buca delle Fate. Cercava farfalle e invece fece uno strano incontro. Due uomini gli si pararono davanti all’improvviso e appena lo videro buttarono nei cespugli qualcosa di ingombrante che stavano trasportando e se la dettero a gambe. Lui continuò a cercare farfalle, ma quando due giorni dopo fu trovato un cadavere vicino alla Buca delle Fate ricordò i particolari dell’incontro e fornì alla polizia una descrizione così precisa dei due uomini che non fu difficile arrestare lo Scarpellini e il Michelotti. Il morto era Luciano Serragli, ucciso poco prima nel ristorante di via La Nunziatina con una iniezione di curaro e trasportato fin sui monti per essere buttato nella Buca delle Fate. Se i due camerieri non avessero incontrato il Talocchini il corpo sarebbe finito nel crepaccio e nessuno l’avrebbe mai più ritrovato. Ma perché quell’oste un po’ ubriacone e un po’ rivoluzionario fu ucciso?

LUCIANO SERRAGLI sapeva tutto dell’attentato di Marina, organizzato dal Corbara e dallo Scarpellini per punire un commerciante che non aveva aderito a uno sciopero. E non aveva mai aperto bocca. Forse perchè in quell’impresa c’era anche il suo zampino. Quello che lo fece uscire dai gangheri fu la notizia che il Michelotti dopo la moglie si era preso anche la figlia, avviando un ménage à trois sotto i suoi occhi. Fuori di sé dalla gelosia e sconvolto dalla notizia che la ragazzina, rimasta incinta del cameriere, era stata fatta abortire per ben due volte grazie allo Scarpellini che aveva procurato le mammane, il Serragli minacciò di vendicarsi raccontando alla polizia tutto quello che sapeva sull’attentato di Marina di tre mesi prima. Fu allora che firmò la sua condanna a morte che ebbe un duplice movente.

LA MOGLIE e la figlia insieme al Michelotti non lo volevano più fra i piedi per continuare le loro tresche. Lo Scarpellini doveva invece garantirsi l’impunità dall’accusa di terrorismo. Il curaro lo procurò lui, rubandolo in una sala operatoria del Santa Chiara dove veniva usato in dosi terapeutiche come coadiuvante nelle anestesie. Quel giorno al Serragli gliene sparò in vena un intero flacone con la scusa di fargli un’iniezione ricostituente, mentre il Michelotti e le due donne attendevano nella stanza accanto. Poi il macabro trasporto del corpo verso la Buca delle Fate dove il diabolico progetto si sarebbe infranto di fronte al cercatore di farfalle notturne.

E IL CORBARA? Fu incriminato per la bomba di Marina e anche per il delitto Serragli, visto che se l’oste avesse parlato si sarebbe trovato nei guai. Ma alla fine è stato condannato solo per l’attentato. Nove anni per omicidio preterintenzionale. Sì, la bomba la mise lui insieme allo Scarpellini, ma a quell’ora e in pieno inverno non volevano uccidere. Dell’accusa di aver partecipato all’uccisione del Serragli il Corbara fu assolto per insufficienza di prove. Per tutti gli altri le condanne furono pesanti. Trentasette anni Vincenzo Scarpellini, ventotto anni ciascuno Glauco Michelotti e Elsa Maffei, quindici anni Paola Serragli.