2008-06-04
di PAOLA ZERBONI
IL SUO CUORE si è fermato alle 14 di ieri, a cinque settimane da quel terribile incidente, sotto il tunnel del viale delle Cascine. Marco Nardini aveva solo 16 anni, tanti amici e un cassetto pieno di sogni, di desideri che non potranno più essere esauditi. Il suo destino era segnato da quella sera maledetta, quando, dopo una brusca frenata per evitare una moto che lo precedeva, il suo ‘‘cinquantino’’ lo disarcionò, sbalzandolo di sella e facendolo cadere sull’asfalto proprio mentre arrivava un furgone, che lo travolse. Per il babbo e la mamma di Marco fu il materializzarsi dell’incubo che tutti i genitori hanno, quando il loro figlio vuole il motorino. I soccorsi immediati, le cure prestategli dallo staff medico del Deu prima e della rianimazione poi — dove il ragazzino, studente all’istituto tecnico «Santoni», è rimasto per oltre un mese —, il successivo, recentissimo, trasferimento al centro riabilitativo del Calambrone: tutto questo non è bastato a strapparlo alla morte, a restituirgli la vita.

EPPURE il momento più critico sembrava essere passato. Marco aveva riaperto gli occhi e anche se le sue condizioni rimanevano critiche, la flebile luce della speranza non si era mai spenta dal giorno dell’incidente, il 29 aprile scorso, sotto il tunnel di viale delle Cascine. Con mamma e babbo, che per sei settimane non hanno mai lasciato il suo capezzale, per lui pregavano tutti gli amici di scuola e i ragazzi del Cep che gli avevano dedicato anche uno striscione, rimasto fino a pochi giorni fa affisso davanti alla porta d’ingresso del reparto rianimazione. «Marchino, siamo tutti con te», era scritto su quel lenzuolo, firmato ‘‘i ragazzi del Cep’’. E la notizia che mai avrebbero voluto ricevere ieri è arrivata loro ieri pomeriggio, col suo agghiacciante tam-tam. Un tam tam di telefonate, di sms, che purtroppo trova presto conferma. «Non può essere vero, Marco stava meglio». Invece è proprio così. Lo temevano i medici, che avevano detto chiaramente ai genitori di non farsi illusioni. Solo un miracolo avrebbe potuto farlo uscire dal coma, e anche in quel caso, Marco avrebbe dovuto fare i conti con i danni riportati nel violento impatto col furgone dopo la caduta dal motorino, mentre raggiungeva il centro città. Nell’affrontare la discesa del sottopasso ferroviario, la frenata gli aveva fatto perdere il controllo dello scooter, forse per non tamponare una moto che lo precedeva, e che non è stata ancora identificata dalla polizia municipale.

PERDENDO l’equilibrio, era caduto sull’asfalto, andando a finire sulla corsia di marcia opposta alla sua, proprio mentre stava arrivava il furgone, che lo ha travolto. Un Fiat Iveco, che trasportava ponteggi da costruzioni, condotto dal trentaseienne P. G., residente a Pontedera, che nulla aveva potuto fare per evitare di investire il ragazzino.

MARCO aveva su il ‘‘padellino’’, il caschetto-jet, più volte finito sotto accusa perché non garantisce adeguata protezione, ma che viene indossato dalla maggior parte degli adolescenti muniti di scooter. Forse se Marco avesse indossato un altro modello di casco, le conseguenze avrebbero potuto essere meno gravi. Forse si sarebbe salvato. Ma purtroppo le ferite riportate, il grave trauma cranico che lo ha inchiodato al coma per oltre un mese, non gli hanno lasciato scampo. Un mese di agonia, in un alternarsi di angoscia e speranza. E ieri, alle 14 in punto, l’ultimo battito del suo giovane cuore. «Marchino» si è arreso, ha smesso di lottare.