2008-04-19
NON SONO del conte Ugolino della Gherardesca i resti riesumati sette anni fa nella chiesa di San Francesco e molto probabilmente la tomba aperta nel 2001 potrebbe essere stata una messinscena organizzata ancora in epoca fascista. E’ quanto sostiene la dottoressa Paola Benigni, ex soprintendente ai Beni archivistici della Toscana, che pubblica sulla rivista «Archeologia Viva» (Giunti Editore) un articolato intervento nel quale confuta — curiosamente dopo sette anni — i risultati raggiunti allora dalla ricerca coordinata dal professor Francesco Mallegni e contenuti nel volume «Il conte Ugolino Della Gherardesca tra antropologia e storia» curato dallo stesso Mallegni insieme alla professoressa Maria Luisa Ceccarelli Lemut (edizioni Plus) dopo la fine delle ricerche.

ALL’EPOCA il fatto venne seguito con grande interesse dalla città anche perché la riesumazione si proponeva di appurare la verità sulla morte per fame, avvenuta nel 1289, dell’antico signore di Pisa, dei figli Gaddo e Uguccione e dei nipoti Anselmuccio e Nino, nonchè di chiarire una volta per tutte se avesse un qualche fondamento il terribile sospetto di cannibalismo gettato sul conte dal celebre canto XXXIII dell’Inferno di Dante. Ora Benigni solleva molti dubbi circa la possibilità di attribuire i resti umani proprio al conte Ugolino e ai suoi congiunti e contesta, tra l’altro, l'autenticità del verbale del 1902 — relativo alla traslazione dei resti dei Della Gherardesca dal chiostro (dove trovarono la prima sepoltura) alla cappella dove sono stati ritrovati nel 2001. In proposito la studiosa fa notare che del testo originale di questo verbale che sarebbe stato redatto nel 1902 da Vincenzo Casaretti, segretario del Comitato per i restauri artistici della chiesa di San Francesco (1898-1909), non vi è alcuna traccia nel registro dei verbali e negli atti dello stesso Comitato oggi conservati nell'Archivio arcivescovile di Pisa. Al tempo stesso trova estremamente significativo che il verbale in questione ci sia invece pervenuto nella copia fattane nel 1928 quando sarebbe stato «ritrovato» sotto una delle lastre tombali della cappella Della Gherardesca durante un intervento di restauro condotto dal regime fascista interessato a fare di quel luogo la Cappella dei martiri fascisti. L’ex soprintendente cita poi svariati interventi — da quelli degli anni 1817-1822 quando le lapidi del chiostro furono traslate sul pavimento della chiesa, ai restauri degli anni 1898-1902 — che hanno prodotto spostamenti e manomissioni che di fatto rendono impossibile stabilire dove siano andate a finire le ossa. E si chiede infine quanto abbiano contribuito all’esito «positivo» della ricerca delle spoglie del conte Ugolino, «le necessità pubblicitarie del ‘Progetto Ugolino’ sostenuto allora dal Comune e dalla Provincia di Pisa».

DURA la replica del professor Francesco Mallegni, contattato ieri da La Nazione che bolla come «fantasiose» le conclusioni della studiosa fiorentina «alla quale ho già scritto una lettera» aggiunge e spiega: «Io ho studiato i resti rinvenuti nella tomba non le lapidi, né le pergamene, né altro. Le nostre conclusioni sono fatte sui resti umani trovati: infatti abbiamo trovato le ossa di cinque scheletri maschili appartenenti a tre diverse generazioni: un uomo di 70-75 anni, due fratelli sui 45-50 anni e altri due fratelli di 20-30 anni (i nipoti di Ugolino che non erano evidentemente bambini, come voleva far credere Dante che era infuriato con Pisa e voleva rendere ancora più truce la leggenda del cannibalismo). Abbiamo poi notato numerose somiglianze nella struttura dei diversi crani e gli esami paleonutrizionali hanno confermato gli stenti, la malnutrizione e verosimilmente la morte per fame dopo un periodo a pane e acqua (attestato dalle tracce di magnesio)». Ma la prova principe è stata quella dell’esame del Dna che ha «confermato i rapporti di parentela tra i fratelli. Il resto — dice Mallegni — sono chiacchiere».
Guglielmo Vezzosi