Perugia, 16 settembre 2009 - Un’inchiesta durata sette anni, quindici giorni di custodia cautelare (cinque in carcere e dieci ai domiciliari), una marea di sequestri immobiliari e patrimoniali l’onta di essere additati come ‘schiavisti’ di anime, e alla fine il proscioglimento in udienza preliminare da parte del gip che ha pronunciato sentenza di perché il 'fatto non sussiste' nei confronti di dieci persone.

 

L’odissea 'Ananda', la comunità spirituale tra Assisi e Gualdo Tadino, che nel 2004 venne ‘rivoltata’ dalla guardia di finanza e dai carabinieri nell’ambito di un’indagine per associazione per delinquere, riduzione in schiavitù, circonvenzione di incapace e truffa arriva al vaglio delle Corti d’appello di Perugia e Firenze per una doppia maxi-richiesta di risarcimento presentata dai dieci responsabili-adepti che all’epoca finirono nel mirino della magistratura. Gli ex indagati e i loro difensori - avvocati Giuseppe Caforio e Alessandro Di Baia - chiedono 215 mila euro per ogni persone finita nelle maglie della procura - e poi ritenuta innocente – sia per la irragionevole durata del processo (da 2002 al 2009) che per ingiusta detenzione.

 

La richiesta, contro il Ministero della Giustizia, segue un doppio binario. Ognuno dei dieci responsabili della struttura Ananda si è rivolto sia ai giudici d’appello perugini competenti a liquidare il danno per il carcere patito ingiustamente che ai colleghi fiorentini che dovranno stabilire se - come lamentano i difensori - l’indagine poteva essere conclusa in tempi più rapidi in base alla legge Pinto. Se 'Ananda' dovesse avere ragione il Ministero dovrebbe sborsare qualcosa come 2 milioni e 215 mila euro.

 

Scrivono gli avvocati Caforio e Di Baia nel ricorso: "Come acutamente osservato dal GUP perugino, la sostanza dell’impianto accusatorio nei confronti degli imputati doveva ravvisarsi nelle dichiarazioni rese da alcuni soggetti (che avevano denunciato gli ex indagati di assoggettamenti psicologici e vessazioni, ndr) e nelle consulenze redatte da Don Aldo Buonaiuto e dalla Prof.ssa Cecilia Gatto Trocchi (nel frattempo morta ndr). Deve allora subito evidenziarsi con forza come tali elementi indizianti siano stati tutti raccolti nel corso dell’anno 2002, cioè subito dopo l’inizio delle indagini. Ed in effetti, nel corso dell’udienza preliminare il P.M. ha posto proprio tali elementi a sostegno dell’accusa.

 

Ed allora non è dato comprendere per quali ragioni ed esigenze le indagini si siano protratte, per effetto di continue richieste di proroga avanzate dalla Procura, fino al 24/07/2007, data dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p., avviso peraltro notificato agli indagati solo agli inizi del 2008. Si tratta – è scritto ancora nell’istanza - di un prolungamento delle indagini assolutamente ingiustificato" che si è "riflettuto in modo pesantemente negativo sulla vita personale, spirituale e lavorativa" di ognuno dei ricorrenti.

 

"La conduzione di un procedimento lungo ben 7 anni ha in primis comportato elevatissime spese per la difesa, attesa anche la delicatezza e complessità delle accuse e l’applicazione di misure custodiali e sequestri - è scritto -. Altrettanto ingenti i danni patrimoniali derivanti dall’indisponibilità degli immobili sottoposti a sequestro" per cui i difensori hanno quantificato 100mila euro di danno. Altrettanto denaro per i danni morali: "A ciò deve aggiungersi lo stress, subito per molti anni, derivante dalla pendenza di un procedimento molto delicato e che potenzialmente poteva sfociare, nell’ipotesi di una condanna, in una lunga reclusione. Il tutto aggravato dall’incertezza di vedere riconosciute le proprie ragioni difensive".