{{IMG_SX}}Perugia, 6 marzo 2009 - La veemenza con la quale è stata assassinata la rumena Mariana Mihaela Puscasu ha fatto spezzare addirittura la lama del coltello. In quel momento, forse, si è interrotta la furia omicida. Il pakistano Arshad Mahmood (34 anni, nella foto) quel primo ottobre raggiunse con l’Ape il commissariato di Foligno; aveva le scarpe e la maglia sporca di sangue e urlava "L’ho uccisa io".
Mentre correva teneva tra le mani imbrattate una foto che lo raffigurava insieme alla vittima. Ai giudici della Corte d’assise di Perugia ha detto di avere un black-out di quei drammatici momenti. Secondo il sostituto procuratore Daniela Isaia, invece, può essere stato solo lui a uccidere con 24 colpi la donna. Le prove sono schiaccianti, c’è un’ammissione e una testimone. Alle accuse il magistrato ha aggiunto la premeditazione.
"E’ morta, è finita vita mia", ha scritto in un italiano imperfetto l’imputato dietro una foto di Mariana entrata nel fascicolo del giudice. "Amavo più di mia vita che così tanto volevo bene sempre cercato stare vicino a lei. Dentro mio cuore rimane finchè non muoro. Ti amo amore". Ma nella cella in cui è rinchiuso a Terni non c’è nessuna fotografia della vittima, alla quale durante l’interrogatorio riserva frasi che fanno male alla sua dignità. "Commenti facili contro chi non può difendersi", le ha definite Isaia prima di integrare il capo d’imputazione.
Mahmood ha raccontato di avere una moglie e quattro figli nel suo Paese, Mariana invece in Romania manteneva contatti col marito invalido dal lavoro e i suoi tre bambini. Aveva trascorso quasi due mesi insieme a loro, prima di rientrare in Italia, dove quattro giorni dopo sarebbe stata assassinata. "Ci eravamo accordati per lasciare i nostri coniugi - ha detto Mahmood - ma lei ha continuato a chiamare il marito fino all’ultimo giorno". Risentito, nel tono della voce col quale ai giudici ha raccontato di aver scoperto la relazione della donna con un’altra persona.
"Dopo il suo compleanno le cose sono cambiate: abbiamo parlato e al parco, dalla rabbia, ho strappato i documenti e 400 euro di banconote". Fu in quella circostanza che "l’afferrai per un braccio e arrivò la Polizia". A quell’episodio si è aggiunta un’altra denuncia per furto, in quanto a Mariana vennero portati via dalla borsa dei soldi che doveva portare in Romania. "Ho insistito per giorni, volevo farle ritirare le denunce, ma niente da fare".
Il primo ottobre, dopo decine di chiamate non risposte, Mahmood incontra Mariana a Foligno.
"Ho incontrato Pedro e mi ha aggredito - ha raccontato Loredana Stella, una conoscente della vittima che l’aveva sentita al cellulare -, poi ho gridato, è passata un’auto dei carabinieri ed è scappato". La rumena si è allontanata con la bicicletta ma lui non si è arreso e l’ha seguita con l’Ape. Ha imboccato una strada contromano, ma la donna è riuscita a seminarlo. Finché, nei pressi di via Mameli, il pakistano si è accorto della bici parcheggiata.
"Aveva un coltello infilato nella cintura, sotto la camicia - ha detto la badante rumena della donna con la quale doveva parlare Mariana -, lei urlava, è iniziata una discussione. Con la mano destra impugnava il coltello, l’ha presa per un braccio ed ha iniziato a colpirla". La Corte d’assise (oggi si torna in aula) ha accettato la richiesta di costituzione di parte civile per le associazioni 'Telefono Rosa' e 'Comitato 8 marzo', rappresentate dalle avvocatesse Maria Cristina Ciace e Paola Pasinato. L’imputato è difeso da Carla Pantosti.
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