{{IMG_SX}}Perugia, 17 luglio 2008 - "Mia figlia Barbara era incinta al settimo mese di Nicolò quando venne aggredita da suo marito. Durante la seconda e la terza gravidanza lui ha messo più volte in discussione la sua paternità, le chiese perfino di abortire ma lei era credente e cattolica e non volle farlo. Ci furono grossi problemi. Dire "questo figlio non è mio" era diventato uno standard per lui, un nastro che si ripeteva in continuazione".

 

La voce ferma di Paolo Cicioni rimbomba nella Sala degli Affreschi dove si è celebrato ieri il quinto atto del processo in Corte d’Assise contro Roberto Spaccino, 38 anni compiuti martedì, il camionista di Compignano accusato di aver ucciso nel maggio dello scorso anno la moglie Barbara, 33 anni, all’ottavo mese della terza gravidanza.

 

"Non ho mai visto Barbara ricevere una carezza dal marito - racconta il padre - al contrario quando lei gli dimostrava affetto lui sembrava indifferente e talvolta anche infastidito. Ricordo poi che in occasione dell’ultimo compleanno di mia figlia (tifosa della Roma, ndr) le avevo regalato una torta giallorossa con l’immagine di Francesco Totti: appena la vide impugnò un coltello e la colpì con sei o sette fendenti, distruggendola".

 

La deposizione del testimone nominato dal pubblico ministero Antonella Duchini è completa, emozionante, e ripercorre nei dettagli episodi della vita trascorsa dalla figlia insieme all’uomo (presente anche ieri in aula) accusato di averla uccisa: "Quando sono venuto a conoscenza delle violenze morali e fisiche che subiva Barbara sono andato a parlare con suo marito (in rarissime circostanze Paolo Cicioni ha chiamato Roberto Spaccino con il suo nome, ndr).

 

Mi ha risposto "va bene, la smetto" quando gli ho detto che poteva anche separarsi da mia figlia, considerando che era inutile proseguire in questa situazione indecorosa. Bastava un granello di polvere sul mobile per insultarla e picchiarla. Una volta notai un’ecchimosi sul volto di Barbara ma ancora non sapevo che le liti erano all’ordine del giorno, e lei non mi disse come se l’era procurata".

 

Le domande - quelle del pm, degli avvocati della difesa di Spaccino Luca Gentili e Michele Titoli, e quelli delle parti civili Francesco Falcinelli (Cicioni), Valeriano Tascini (Simonetta Pangallo) e Gerardo Gatti (gli zii della vittima Elisa e Massimo Buconi) - si sono concentrate anche sulla notte del 24 maggio, quando venne scoperto il cadavere di Barbara: "Si sentiva solo parlare di macchine, ladri e sgommate ma sulla strada non ho visto nessuna traccia. Inutile poi aggiungere che non ho ricevuto neppure una parola di conforto da parte dei membri della famiglia Spaccino; la signora Rita il giorno dei funerali di Barbara riuscì a dire "la disgrazia è successa oggi, hanno arrestato mio figlio"".

 

"Ci vuole la pena di morte, questi extracomunitari dovrebbero essere ammazzati tutti". Queste parole le ha sentite con le sue orecchie Simonetta Pangallo, la madre di Barbara, sempre durante quella tremenda notte; le pronunciò il ‘capostipite’ Gerardo Spaccino. "C’era una gran confusione, non c’era dolore davanti a quella casa".

 

La deposizione della donna - preceduta da quella della seconda moglie di Paolo Cicioni, la farmacista Enrica Cucina, e dal compagno della Pangallo, Giancarlo Marinacci - ha fatto ancora più luce sul pesante clima che si respirava tra le quattro mura della villetta di Compignano in cui si consumò il delitto.

 

"Un pomeriggio Nicolò tornò a casa con una nota di condotta sul diario, eravamo seduti sul divano. Roberto disse a Barbara che era tutta colpa sua perché avrebbe dovuto comportarsi come faceva suo padre con loro, che smetteva di picchiarli solo quando vedeva uscire il sangue. E dire che i primi due giorni dopo l’omicidio di mia figlia ho creduto che erano stati i ladri, nonostante davanti avessi una persona di una freddezza incredibile".