Giustizia a passi lenti. Siamo senz’appello

La vicenda dello yacht permette al noto imprenditore di puntare il dito sui mali del nostro sistema

Pecore elettriche

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Firenze, 13 giugno 2021 - Flavio Briatore non è un tipo simpatico, ha una lingua affilata che ferisce. Una volta dette di "bagnino invidioso" al proprietario del Bagno Piero di Forte dei Marmi ("Nella sua vita ha ereditato il bagno dal papà", gli ha ricordato) dopo che questi aveva parlato in maniera sprezzante di briatorismo. "Di poveri ce ne sono già abbastanza e a quanto mi risulta non hanno mai creato lavoro", ha detto un’altra volta. Epperò, il caso del suo yacht venduto all’asta dallo Stato la dice lunga sullo stato della giustizia in Italia.

La Corte di Cassazione nei giorni scorsi ha annullato con rinvio la confisca del Force Blue, lo yacht di Briatore, che era stata disposta dalla Corte d’appello di Genova dopo l’accusa di evasione dell’Iva. È già il secondo annullamento, solo che nel frattempo l’imbarcazione è stata (s)venduta all’asta per 7,5 milioni di euro, a un prezzo nettamente inferiore del suo valore (20 milioni di euro, secondo Briatore), quindi, ha detto l’imprenditore al Corriere, "riavere la barca è impossibile. E i danni morali che ho subito sono incalcolabili: da undici anni, tutti mi danno dell’evasore fiscale, pure in tv".

Il Force Blue, il mega yacht di Flavio Briatore (Ansa)

Insomma, ha detto ancora il patron del Twiga, "sono schedato nella World Check: non posso avere un mutuo, un prestito, niente. Se per lavorare non avessi avuto capitali miei, sarei fallito. Io sono fortunato, ma una persona con meno mezzi ne esce distrutta. Gli imprenditori non investono in Italia perché sono terrorizzati dalla lentezza e dall’incertezza della nostra giustizia. È arrivato il momento di mettere mano a una riforma: non puoi tenere uno sulla graticola per anni". Non lo dice solo Briatore, ma l’Unione Europea, che ha vincolato l’arrivo dei denari del Recovery Fund a precise riforme, anche per non dire soprattutto in tema di giustizia. Su richiesta della Commissione europea, l’Italia ha promesso che ridurrà del 40 per cento la durata dei processi civili e del 25 quella dei processi penali.

Un’impresa non semplice: secondo i dati CEPEJ del Consiglio d’Europa pubblicati nel 2020, nel 2018 la giustizia italiana è stata la più lenta d’Europa. In Italia i processi durano 2.656 giorni (527 giorni per il primo grado, 863 giorni per il secondo grado e 1.266 giorni per il terzo grado), ovvero sette anni e circa tre mesi. Nel 2018 quelli che arrivano al terzo grado di giudizio durano la metà (1.223 giorni) in Francia e (1.240 giorni) in Spagna, mentre circa un terzo (840 giorni) in Germania. Come nota l’Osservatorio dell’Università sui conti pubblici, "in Europa, solo la Grecia ha una durata dei processi più elevata che in Italia per il primo grado di giudizio (610 giorni) e solo Malta per il secondo grado (1.120 giorni). Nessun paese, invece, è più lento dell’Italia in terzo grado di giudizio". Ecco perché, almeno su questo punto, Briatore ha ragione.

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