La politica nell'epoca della sua riproducibilità instagrammabile

Nella società quantitativa dell’ipercomunicazione, della ipercondivisione, dove i lettori e gli elettori sono follower, Ferragni e marito hanno maggiore forza contrattuale di altri

Chiara Ferragni (Instagram)

Chiara Ferragni (Instagram)

Firenze, 7 luglio 2021 - “Il partito di Chiara Ferragni”, dice Repubblica in una newsletter. Basta così poco per essere titolari, anche soltanto metaforicamente, di un partito. Nella società quantitativa dell’ipercomunicazione, della ipercondivisione, dove i lettori e gli elettori sono follower, Ferragni e marito hanno maggiore forza contrattuale di altri. Più senz’altro di un Parlamento autosputtanato, che ha deciso in un recente referendum costituzionale di ridursi di un terzo, in omaggio agli adagi grillini sul costo della politica, ai quali è corso dietro anche il centrosinistra.

Ma forse anche più di quei politici che hanno deciso di trasformarsi in influencer ben prima che gli influencer decidessero di trasformarsi in politici. Nel migliore dei mondi possibili, ognuno farebbe il proprio lavoro. C’è chi scrive leggi e chi post sui social.

Naturalmente, le due cose non si escludono a vicenda. Ma Ferragni e marito non verrebbero spacciati per intellettuali pubblici, il loro successo sarebbe accettato senza però essere trasformato in tentativo di consenso politico, anche da parte di chi ne ha tremendamente bisogno (come quei sindaci che cercano di attirare un po’ l’attenzione sulle loro città svuotate di turisti).

Ci sarebbe una netta separazione fra chi legittimamente ha delle idee da regalare ai suoi milioni di utenti sull’Internet e chi altrettanto legittimamente concorre al dibattito pubblico stando nelle istituzioni. Invece è tutto mischiato. Si parla di Ferragni e marito come possibile coppia politica.

I segretari di partito e senatori della Repubblica si mettono a rispondere alle storie su Instagram, non prima però di aver precisato che la politica non è un like su Facebook. Avete mai visto il Papa rispondere a un tweet? No, ecco. Eppure in diversi ripetono che è popolare, persino progressista, fin quando la Chiesa non dice mezza parola considerata fuori posto sul ddl Zan.

Ma in ogni caso, non è questo il punto. Nel tentativo di avvicinarsi alla gente, la politica perde di vista la dimensione istituzionale di se stessa. C’è una differenza enorme fra mettersi all’ascolto, sporcandosi le mani, e scendere sul terreno di confronto imposto dall’avversario. Non è una questione di numeri, Ferragni e marito potrebbero avere 300 milioni di iscritti ai loro account e non per questo dovrebbero incutere timore. Altrimenti non c’è separazione fra sfere della vita pubblica, tutto resta indistinto.

A che servono le elezioni, i parlamenti, i partiti, se poi basta una realtà instagrammabile - dove il confronto su numeri parlamentari, compromessi e legittime ambizioni di contaminare l’avversario non esistono - a costruire le istituzioni e la società?