Durata dei processi, l’Italia è stata condannata 1202 volte, dice Marta Cartabia

L’intervento della ministra della Giustizia al XXXIV Congresso Nazionale Forense

Marta Cartabia

Marta Cartabia

Roma, 23 luglio 2021 - Serve una giustizia più veloce, dice la ministra Marta Cartabia intervenendo al XXXIV Congresso Nazionale Forense. Per questo bisogna approvare la riforma, per mantenere fede agli impegni presi con la Commissione europea, che ci chiede di ridurre drasticamente la durata dei processi. “L’Italia – dice la ministra della Giustizia – è stata vergognosamente condannata 1202 volte” per la violazione del principio della ragionevole durata del processo. La Turchia, seconda dopo di noi, ha riportato 608 condanne. Naturalmente, precisa Cartabia, “la necessità di un’accelerazione e di una riduzione dei tempi non può mai avvenire a scapito della qualità della risposta di giustizia”. Sulla riforma molto si sta dibattendo nei partiti - citofonare Cinque stelle - e senz’altro “stiamo lavorando proprio in questi giorni per introdurre i giusti accorgimenti volti a graduare le necessarie attività processuali e assicurare al meglio le difese delle parti anche nella prima udienza di trattazione”. La proposta di riforma del processo penale “come tutte le proposte, è perfettibile. Si possono apportare aggiustamenti tecnici sui punti che hanno destato più preoccupazioni. Io non smetto di seguire e vagliare tutte le ragioni che sono state esposte e capire se è possibile rimediarvi”. Al netto dei miglioramenti possibili, tuttavia, la riforma costituisce in ogni caso un approdo ineludibile, perché “un sistema moderno, un Paese, una democrazia moderna non possono funzionare senza una giustizia che funziona”. L’Italia “è ancora un osservato speciale” agli occhi dell’Unione europea. C’è un problema di inaffidabilità del nostro sistema giudiziario da risolvere. Troppi sono i “fattori che scoraggiano gli investimenti esterni” e una giustizia che non funziona “è un fattore di depressione dell’economia e dell’intera vita sociale”. La ministra dunque cerca di dare una risposta al problema atavico della giustizia l’italiana, la lunghezza dei suoi processi. Dal ridimensionamento dei tempi dipende l’arrivo dei fondi del Pnrr. Non esattamente un dettaglio.