Maggioranza e Draghi. Ora a carte scoperte

La domanda dunque che appare quanto meno necessaria: a che servono questi mezzi compromessi?

Pecore elettriche

Pecore elettriche

Firenze, 5 dicembre 2021 - L'inflessibile Mario Draghi stavolta non ha convinto. Certo, governare una maggioranza così composita, con molte sensibilità diverse al proprio interno, è complesso. Ma il caso del “contributo di solidarietà” crea un pericoloso precedente. Il governo aveva accettato, per fare un regalo ai sindacati, segnatamente alla Cgil di Maurizio Landini, di annullare gli effetti del taglio dell’Irpef per i redditi sopra i 75 mila euro, pari a 250 milioni di euro circa, con l’obiettivo di ridurre il caro bollette. Una decisione avallata - va da sé - da Pd e Leu, con il M5s diviso al proprio interno. Fortemente contrari centrodestra e Italia viva. La proposta è stata ritirata quasi subito e per affrontare l’aumento delle bollette è stata trovata un’altra soluzione, segno che anche a Palazzo Chigi credevano poco alla misura. La soluzione tuttavia non è indolore, come ha notato l’economista Veronica De Romanis: “Le risorse sono state trovate ‘tra le pieghe del bilancio’. A debito. Quindi a carico di chi avrà poco: giovani. Avanti così”.

La domanda dunque è: a che servono questi mezzi compromessi? Forse Draghi dovrebbe iniziare a essere più chiaro sul proprio futuro, visto che le sue decisioni ricadono anche sui cittadini. Se sta cercando di mantenere intatta la pace sociale per accumulare consensi e arrivare al Quirinale è legittimo ed è un conto, se invece è arrivato quel momento in cui gli appetiti dei partiti sono diventati ingestibili allora è un altro conto. Oltretutto, nel merito, i “contributi di solidarietà” già ci sono: si chiamano tasse e non sono poche.

Secondo il “Revenue statistics” dell’Ocse, nel 2019 l’insieme delle tasse in Italia è stato del 42,4 per cento del Pil, in aumento dal 41,9 per cento dell’anno procedente. La media dei Paesi Ocse è del 33,8 per cento. Ora c’è da sperare che fra un mese o due la sinistra non torni alla carica, come appena accaduto. Ma rischia di essere una vana speranza. Se c’è una cosa evidente a tutti è che lo stato di sospensione del governo Draghi è dettato dalla rispettabilità internazionale del presidente del Consiglio e dalla fragilità del sistema politico. Il che però non ha ridotto le ambizioni di partiti e leader politici, che si acconciano comunque alla prossima campagna elettorale.

Che si voti nel 2022, come profetizzato da Matteo Renzi, o a scadenza naturale nel 2023, la macchina della propaganda è in azione. Molte sono le incertezze, certo: con quale sistema elettorale voteremo? Chi sarà il candidato del centrodestra? E quello dei progressisti? Le coalizioni come saranno composte? Nascerà la “casa comune” di Pd e M5s? Salvini la spunterà su Meloni o viceversa? Nascerà un partito non di Draghi ma per Draghi? Al netto di queste domande, però, s’avvicina anzitutto il momento del disvelamento, utile in politica perché consente di capire, come un’epifania, la natura degli eventi e dei leader. Finora Draghi è stato Mister Wolf, riuscirà ad esserlo anche nei prossimi mesi da qui alla fine della legislatura?

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