Le vittorie programmatiche del centrodestra in Toscana

in Toscana sette capoluoghi di Provincia (Grosseto, Arezzo, Siena, Pisa, Lucca, Pistoia, Massa) più una storica città operaia (Piombino) sono oggi politicamente a destra. Com'è accaduto? L'analisi di Alfonso Musci, già portavoce di Enrico Rossi in Regione

Pecore elettriche

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Firenze, 28 giugno 2022 - Il Pd festeggia le vittorie ai ballottaggi in tutta Italia, ma in Toscana le cose come vanno? Non benissimo, come osserva Alfonso Musci, autore e studioso di filosofia, nonché portavoce di Enrico Rossi in Regione Toscana: “Ne parlano tutti, in Toscana sette capoluoghi di Provincia (Grosseto, Arezzo, Siena, Pisa, Lucca, Pistoia, Massa) più una storica città operaia (Piombino) sono oggi politicamente a destra. Non sono vittorie contingenti ma programmatiche, nel senso che vengono da lontano”. Ne sa qualcosa chi ha letto “Come si diventa leghisti”, pubblicato dal sottoscritto per Utet dopo la vittoria della Lega a Pisa: “Certo - osserva ancora Musci - le dinamiche si possono invertire. In Emilia Romagna ad esempio il centrosinistra ha recuperato terreno e riconquistato città che, come in Toscana, nelle scorse tornate elettorali erano andate a destra, destra che oggi governa solo Forlì e Ferrara. Questo vuol dire però che nulla è perduto e che una buona grammatica può aiutare e riportare a vincere. Ma oltre alla grammatica c’è la ‘lingua viva’.

Che cos'è una lingua viva? Oggi possiamo definirla ex negativo”. Insomma, dice Musci riprendend un concetto a lungo analizzato proprio nel caso di Pisa, “le città rosse non esistono più. Non esiste più il partito di massa organizzato e radicato né l'insediamento sociale forte e coeso che a quel partito faceva riferimento: operai metalmeccanici, studenti, casalinghe, contadini, mezzadri e piccoli imprenditori, amministratori, sindacalisti... tutti tesserati al partito, tutti gramscianamente in grado di dirigere pensando e farsi dirigere dal pensiero. Qualche anno fa lo scienziato sociale Mario Caciagli ha utilizzato il termine ‘subcultura’, un termine ambiguo ma molto evocativo, che può tradursi come cultura ‘parziale’ (in tedesco sarebbe Teilkultur); parziale perché di parte, in senso generazionale, sociale, organizzativo o geografico. E Caciagli alludeva proprio alla ‘subcultura rossa toscana’.

Oggi le forze politiche eredi di quella storia si sono secolarizzate, la loro lingua ha perso forza (langue per De Saussure: impasto di grammatica e vita usato da una comunità per comunicare e riconoscersi), peso e ruggine. Queste forze sono diventate più leggere e volatili e hanno perso anche legami strutturati con il sangue e la terra, con la società”. Hanno cessato di essere, dice Musci, “‘Ortung’ (localizzazione, radicamento). Da qui la ricerca dei moderati, la rottura delle alleanze a sinistra, la vocazione maggioritaria, il primato della governabilità, le larghe intese e l’impossibilità di una distinzione radicale e caratterizzante (langue) che identifichi la sinistra come alternativa alla destra sui grandi temi economici e sociali”. Questa leggerezza e porosità “consente a ceti più rampanti e arrampicatori, dotati di rendite, di influire e controllare la lingua e la linea del partito…. il discorso ci potrebbe molto lontano ma basti una considerazione: programma e lingua (langue) dovrebbero rispecchiarsi, sfida possibile, mai disperare”. Ma ora, come ben si capisce dai discorsi di Enrico Letta, sarà il trionfo del “campo largo”.