Draghi sempre da lode ma è anche un limite

Il fatto che non esista altro al di fuori di Draghi è un limite. Lo testimoniano le leadership deboli dei partiti italiani

Pecore elettriche

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Firenze, 19 dicembre 2021 - Mario Draghi è stato ed è ancora vissuto come l’ultima spiaggia italiana in un Paese abituato agli annunciati salvatori della Patria. Sicché, nei partiti si fanno grandi ragionamenti (traduciamo liberamente: un sacco di chiacchiere) su come fare per perpetuare il momento Draghi per l’Italia. Portiamolo al Colle, dicono quelli. Lasciamolo dov’è, rispondono altri. Il fatto che qualsiasi altra soluzione ci sembri raccogliticcia o non all’altezza è testimonianza dell’anomalia italiana. Non tanto perché non sappiamo che cosa succederà al Colle - prima o poi si saprà, a nulla servono le visioni apocalittiche sulla fine del mondo - quanto perché fatichiamo a immaginare una leadership alternativa per i prossimi anni.

Mario Draghi (Ansa)
Mario Draghi (Ansa)

Non a caso c’è anche chi vorrebbe far restare Draghi dov’è dopo le elezioni politiche del 2023, come se i partiti si fossero già arresi all’idea di produrre una classe dirigente alternativa. Meglio ricorrere costantemente alla società civile, che ha il vantaggio di non essere riconducibile a una diretta responsabilità degli schieramenti politici; se le cose vanno male si può sempre dire che è colpa del presidente del Consiglio di turno, inadatto a governare. Draghi invece finora ha offerto prova del contrario e quindi il tema non è se Draghi sappia governare o no, ma come fare per continuare a tenerlo al suo posto.

Basta un articolo dell’Economist che premia l’Italia come Paese dell’anno per il 2021 per lanciarsi in speculazioni su quanto sia stata giusta l’idea di liberarsi di Beppe Conte e su quanto sia imprescindibile Draghi. Ma il fatto che non esista altro al di fuori di Draghi è un limite. Lo testimoniano le leadership deboli dei partiti italiani. Da Enrico Letta (che nel Pd non è incalzato da nessuno) allo stesso Conte (che è invece incalzato da Luigi Di Maio), da Matteo Salvini (lì a fargli la guerra pur senza esagerare sono i presidenti di Regione del produttivo Nord) a Matteo Renzi (che è riuscito in questi anni a rendersi indigesto anche a chi gli voleva bene). L’unica eccezione sembra essere, ancora non si sa per quanto tempo, Giorgia Meloni, la cui leadership continua a rafforzarsi.

Le risorse esterne sono una ricchezza, nel caso di Draghi parliamo oltretutto di un tecnico che in realtà ha sempre fatto politica (è stato presidente della Bce e ha salvato l’euro, che cosa c’è di più politico nel senso migliore del termine delle decisioni della Banca centrale europea?), ma è passata l’idea che delocalizzare la classe dirigente è utile. Ma è soprattutto una soluzione deresponsabilizzante, utile per i tempi di emergenza ma non per quelli normali. Qui però siamo alla straordinarietà che è diventata ordinarietà, con la politica commissariata dai tecnici, dai magistrati. Insomma, da altri poteri.

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