Dietro la nuova giustizia spunta il Quirinale

L’obiettivo della ministra Cartabia era anche politico: costruire un profilo adatto in vista delle elezioni del presidente della Repubblica

Pecore elettriche

Pecore elettriche

Firenze, 1 agosto 2021 - Fin dove sono disposti a spingersi i Cinque stelle con le loro rivendicazioni politico-sindacali? Lo abbiamo visto, in queste settimane, con la riforma della giustizia (penale) appena corretta da un nuovo Consiglio dei ministri, giovedì scorso. In barba a qualsiasi narrazione giornalistica sulla "moderazione" di Beppe Conte - che a tratti diventa liberal-democratico, riformista, europeista - il M5s ha gridato inizialmente alla lesa bonafedità per giorni, minacciando l’astensione sulla riforma Cartabia, dopo peraltro averla votata e approvata in un precedente Cdm, e minacciando anche qualche svagata dimissione (la ministra Fabiana Dadone). Alla fine però è stato trovato un accordo fra le parti e, come al solito accade, sembra che in giro ci siano soltanto vincitori.  

La riforma Cartabia - che ha retto all’urto dei Cinque stelle grazie anche all’impegno del presidente del Consiglio Mario Draghi - introduce alcuni correttivi alla precedente riforma Bonafede, che bloccava la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, una follia in un paese dalla giustizia lentissima (secondo i dati Cepej del Consiglio d’Europa pubblicati nel 2020, in Italia i processi durano 2.656 giorni, cioè sette anni e tre mesi). Adesso, con la riforma Cartabia, è cambiato tutto? Si è posto rimedio alle storture della precedente gestione bonafedian-contiana? Naturalmente no, Draghi mica governa da solo. Per i primi tre anni di applicazione della riforma, la durata del processo d’appello si estende per un ulteriore anno e quella del processo per cassazione di ulteriori sei mesi. Si prevede che per alcuni reati (associazione mafiosa, scambio politico mafioso, associazione finalizzata allo spaccio, violenza sessuale e reati con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico), i giudici di appello e di Cassazione possano con ordinanza disporre l’ulteriore proroga del periodo processuale. I reati di mafia e terrorismo sono invece imprescrittibili.  

L’obiettivo di Draghi non era rieducare i Cinque stelle alla ragionevole durata del processo, ma far arrivare i denari del Recovery Plan, vincolati all’impegno preso nei confronti dell’Europa: riduzione del 25 per cento della durata dei processi penali (e non dimentichiamo la richiesta di riduzione del 40 per cento per i processi civili, ma quella è un’altra storia). L’obiettivo di Cartabia invece era anche politico: costruire un profilo adatto in vista delle elezioni del presidente della Repubblica. La battaglia sulla giustizia appena conclusa (o iniziata?) non le dà molte garanzie, si sa che i presidenti della Repubblica devono ridurre gli attriti al minimo. Guardate quanto sono ecumenici da mesi i vari aspiranti, uno su tutti Walter Veltroni, che alterna un commento calcistico a uno sulla cronaca ma senza mai entrare nei vespai dell’attualità politica. Forse è meglio che la ministra della Giustizia finisca prima il delicato lavoro sulla giustizia, senza preoccuparsi troppo di un profilo quirinalizio. Meglio costruire, anche lentamente, una giustizia giusta. [email protected]