Carceri da suicidio. La dignità cancellata

Oltre cinquanta volte deputati e senatori hanno interrotto il Mattarella con scroscianti applausi. La parte meno applaudita è stata proprio quella sui penitenziari

Pecore elettriche

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Firenze, 13 febbraio 2022 - Nei primi 40 giorni dell’anno ci sono già stati dieci suicidi nelle carceri italiane. L’ultima è una giovane donna a Messina. A questi suicidi vanno aggiunti anche quattro decessi “per cause ancora da accertare”. Come osserva il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, “sono numeri che non possono non allarmare e che evidenziano una netta crescita rispetto agli ultimi anni… Le Istituzioni dello Stato, compreso il Garante nazionale, hanno il dovere di dare una risposta tempestiva alle esigenze specifiche e alle vulnerabilità delle persone private della libertà”. Per questo “occorre con urgenza riavviare un dialogo produttivo sull’esecuzione penale detentiva e trovare soluzioni alle tante difficoltà che vivono le persone ristrette e chi negli Istituti penitenziari opera. Così come occorre trovare risposte effettive alla criticità dell’affollamento, situazione accentuata dalla pandemia”.

In molti, durante il discorso di re-insediamento di Sergio Mattarella, si sono spellati le mani. Oltre cinquanta volte deputati e senatori hanno interrotto il presidente della Repubblica con scroscianti applausi, tutto un bene bravo bis. La parte meno applaudita, come ricordato su queste colonne nei giorni scorsi, è stata proprio quella sul carcere: “Dignità è un Paese dove le carceri non siano sovraffollate e assicurino il reinserimento sociale dei detenuti. Questa è anche la migliore garanzia di sicurezza”, ha detto il capo dello Stato. I numeri dei suicidi e lo stato di malessere psichico nelle carceri italiane - di cui si parla troppo poco - dovrebbe indurre la politica a ridurre il numero degli applausi e delle chiacchiere per portare a termine un lavoro ben fatto (o almeno fatto). A partire dalla mancata riforma dell’ordinamento penitenziario. Probabilmente non basterebbe: servirebbe una riforma del nostro modo di pensare. Quante volte leader politici con responsabilità importanti hanno detto che bisogna mettere la gente “in galera” e poi “buttare via la chiave”? Il capo del Dap, Bernardo Petralia, magistrato antimafia, si è appena dimesso, con un anno di anticipo. Ha 69 anni, gli è nata una nipotina, è diventato nonno e dice che vuole passare più tempo con la famiglia. Congratulazioni e tanti cari auguri.

“Delle volte ho difficoltà a dormire per quello che vedo: detenuti che parlano di acqua calda e di un water come fossero lussi”, ha spiegato di recente Petralia. Vedere con i propri occhi è sempre istruttivo. Vale per il giornalismo, ma anche per la politica e la stessa magistratura. Marta Cartabia, da presidente della Corte costituzionale, portò i magistrati nelle carceri italiane. Forse un giro non occasionale negli istituti penitenziari servirebbe anche a quei politici che vogliono “buttare via la chiave”. Potrebbe aiutarli a straparlare meno.

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