C'è un ministro in via Arenula

Il ministero della Giustizia si costituisce parte civile nel processo agli agenti di polizia penitenziaria accusati di tortura. Bonafede non aveva voluto farlo

Marta Cartabia

Marta Cartabia

Firenze, 18 maggio 2021 - Si vede da certi dettagli, diciamo così, che è cambiato il ministro della Giustizia. Oggi a Siena è iniziato il processo - anche se è subito slittato per motivi di salute di uno dei giudici del collegio - a cinque agenti di polizia penitenziaria che devono rispondere dei reati di tortura, minacce aggravate, lesioni, falso ideologico e abuso di potere nei confronti di un detenuto tunisino di 31 anni (l’episodio risale all’ottobre del 2018 nel carcere di Ranza a San Gimignano). Il ministero della Giustizia ha chiesto di costituirsi parte civile al processo. A presentare la richiesta è stata l’avvocatura dello Stato. Secondo gli inquirenti, gli indagati avrebbero provocato nel detenuto “sofferenze acute e sofferenze fisiche” sottoponendolo “a un trattamento inumano e degradante”. All’interno della stessa inchiesta altri 10 agenti penitenziari coinvolti nelle indagini il 17 febbraio sono stati condannati in primo grado con rito abbreviato per tortura e lesioni aggravate in concorso con pene dai 2 anni e 3 mesi ai 2 anni e 8 mesi.

Un momento dei presunti pestaggi
Un momento dei presunti pestaggi

Esulta l’Altro Diritto, che è Garante delle persone private della libertà personale al carcere di San Gimignano. Qualche mese fa infatti il ministero della Giustizia, sempre tramite avvocatura dello Stato, aveva presentato l’atto di costituzione, all’interno del procedimento per i reati contestati agli agenti, contro lo stesso L’Altro diritto, che si era costituita parte civile (il Ministero ne aveva chiesto l’esclusione dal procedimento). All’allora ministro Bonafede evidentemente però l’accertamento dei fatti pareva poco importante. Avrebbe potuto infatti costituirsi direttamente lui parte civile in quanto persona offesa, visto che gli agenti di polizia penitenziaria sono dipendenti del suo ministero, ma scelse di non farlo. Oggi con Marta Cartabia in via Arenula le cose sono cambiate non poco: “È molto importante che in casi in cui vengono contestati fatti di tortura da parte di agenti dello Stato, lo Stato stesso partecipi al processo, costituendosi parte civile e quindi affermando che pratiche illegali di violazione dei diritti non siano ammesse nell’ambito di qualunque forma di privazione della libertà personale. È l’affermazione dell’habeas corpus e del fatto che la violenza di Stato è la forma più deflagrante di delegittimazione dell’autorità pubblica”, dice alla Nazione la direttrice di Altro diritto Sofia Ciuffoletti, garante dei diritti delle persone private della libertà personale a San Gimignano.