{{IMG_SX}}Firenze, 9 marzo 2009 - Scriveva ai suoi contadini: "La vera ricchezza è nel sapersi accontentare". E ancora: "Se andrai a letto presto e per tempo sarai levato guadagnerai in giustezza". Arrivò al punto di elencare "80 consigli per un giovane di Brolio" ma anche i fattori, anche gli 'ufficiali' come li chiamava lui, avevano da ascoltare i suoi sermoni le sue direttive moraleggianti. Un Bettino Ricasoli insolito, ma già per molti aspetti simile a quello che ci ha consegnato la storia. Un Barone formato familiare, osservato negli anni della giovinezza, scrutato negli affetti più profondi, nell’amore immenso per la moglie e in quello quasi ossessivo per la figlia. Ce lo ha consegnato, nel giorno in cui si ricordano i duecento anni dalla nascita, un suo pronipote, Niccolò Rosselli Del Turco che ha tenuto ieri sera, al Circolo dell’Unione di Firenze, una conferenza dal titolo: "9 marzo 1809: nasce Bettino Ricasoli".

 

E dunque, era già 'di ferro' il piccolo Bettino, nato ovviamente in via Ricasoli (anche se allora si chiamava via Cocomero) nel grande palazzo di famiglia, "dove nessuno - ha sottolineato il relatore - ha mai provveduto a mettere una targa". Lo era, perché rimasto orfano a sette anni, maggiore tra i fratelli, dopo gli studi al Cicognini di Prato, già giovanissimo preferiva gli studi alla mondanità, la raccolta di minerali ai giochi dei ragazzi, i viaggi e la scrittura ai balli ed ai caffè. Diciamolo, era un solitario, e non a caso l’avrebbero chiamato 'Orso dell’Appennino'. E di certo, ai contatti umani preferiva quelli epistolari. Tanto che ci ha lasciato un diario, e circa 16mila pagine di lettere, raccolte ad oggi in 30 volumi. Pagine di grande valore, pagine che ci rivelano sino in fondo il suo carattere ed i suoi ideali.

 

Si pensi che giovanissimo Bettino volle conoscere Roma e per farlo si incamminò a piedi, da Firenze, in un viaggio, da solo, durato circa sei giorni. E sempre a piedi arrivò a Napoli. E quando la figlia Elisabetta fu un’adolescente, non esitò a portarla a Parigi. Facile a dirsi. Ma in quei giorni significò arrivare in carrozza fino a Livorno, salire su una nave - per quanto soffrisse il mal di mare - che lo portò fino a Marsiglia, e da qui, ancora in carrozza, fino al traguardo. Un percorso simile, per tempi e per disagi ,a quello che si faceva nella Roma imperiale. Bettino Ricasoli era dunque duro con gli altri, ma prima di tutto con sé stesso. Nello stesso tempo, e lo dimostrarono i sempre difficili rapporti col re, era anche incapace di subire soprusi. Tanto che una volta non esitò a duellare con un Torregiani, col quale era venuto a diverbio. E pur ferito, il Barone uscì vincitore dalla scontro. Che poi fu ricomposto in qualche modo dal Granduca Lorena.

 

E dunque, cosa spinse un personaggio legato agli affetti familiari, alla produzione agricola della sua Brolio (fu lui che indicò tra i primi le caratteristiche che doveva avere il vino Chianti) alla terra, al rigore morale, a svolgere un ruolo pubblico fino a diventare uno degli artefici dell’Unità d’Italia. Fu la frequentazione coi Georgofili che in quegli anni, e non solo, erano all’avanguardia nella tecnica agricola ma anche nella organizzazione sociale ed economica delle campagne. Fu nell’Accademia che conobbe e divenne amico di Cosimo Ridolfi. Fu in quel mondo che si rese conto che occorreva cambiare, cambiare governo, cambiare politica. Per molti aspetti, cambiare la società. A tutto questo lui dette un nome: 'Unità d’Italia'. E presto diventò la sua ossessione.