{{IMG_SX}}Firenze, 29 gennaio 2009 - Di bettino Ricasoli si sentirà molto parlare perché quest’anno si sommano almeno tre eventi che lo riguardano: il bicentenario della sua nascita (9 marzo 1809); il centocinquantesimo anniversario della rivoluzione toscana del 27 aprile 1859 ed infine il centocinquantesimo anniversario della fondazione del giornale La Nazione, il più antico nella storia della stampa italiana.

 

Di quest’ultimo evento si è parlato in questi giorni proprio nell’Auditorium della sede centrale del giornale a Firenze, alla presenza di tutte le autorità cittadine e regionali, davanti a un foltissimo pubblico di addetti ai lavori che hanno assistito alla presentazione del volume di Maurizio Naldini, La Nazione 150 anni. Bettino Ricasoli fu non solo l’erede di una fra le più antiche casate della nobiltà toscana, ma un protagonista di primo piano della storia del Risorgimento italiano.

 

Alla guida del Comune di Firenze nel 1848, l’anno della rivoluzione in Europa, Ricasoli fu anche il direttore del giornale La Patria. Sorto nell’ottobre del 1847, un giornale che vantava fra i suoi abbonati anche il conte Camillo Benso di Cavour a cui i fratelli Ricasoli, Bettino e Vincenzo, si legarono in un rapporto politico che durò fino alla morte del grande statista.

 

Nel 1859 Ricasoli diventò ministro dell’Interno e poi capo del Governo provvisorio toscano che guidò con mano ferma fino all’annessione e poi all’unificazione nazionale. Lo chiamarono proprio per questo il Barone di Ferro. Nel 1861, alla morte di Cavour, in una situazione delicatissima, Ricasoli fu chiamato a ricoprire la carica di Primo Ministro. Il re Vittorio Emanuele II lo stimava, ma non lo amava perché Ricasoli voleva non un’estensione del Piemonte all’Italia, ma un nuovo Stato e un Re che avesse il coraggio di chiamarsi Primo Re d’italia. Quello che nasceva, secondo Ricasoli, doveva essere un nuovo Stato e una nuova Nazione.

 

Cinque anni dopo, in un’altra situazione cruciale, era scoppiata la terza guerra di Indipendenza (1866), Bettino Ricasoli fu chiamato di nuovo a guidare il governo con in più il compito di risanare la situazione finanziaria dello Stato che rischiava la bancarotta.

 

Tutto questo è noto ai più, ma c’è un’altra impresa di Bettino Ricasoli che quest’anno dovrà essere ricordata e lo sarà in un volume che sta per vedere la luce: Ricasoli inventore della formula del vino più prestigioso della Toscana e dell’italia, il Chianti di Brolio. Un vino che aprì la strada al lungo percorso che ha portato i vini italiani ad affiancarsi nel mercato internazionale ai prestigiosi vini francesi sia per la qualità che per la quantità.

 

Ricasoli, come è noto, era proprietario di vaste fattorie in Toscana, ma Brolio con l’antico castello di famiglia fu il centro di lunghi esperimenti alla ricerca di un vino perfetto in grado di competere con i grandi vini francesi che dominavano sulla scena internazionale. All’inizio degli anni Settanta Ricasoli fissò la formula di quello che sarebbe diventato il Chianti Classico: sette decimi di San Giovese, due decimi di Canaiolo e un decimo di Malvasia.

 

Al contrario di oggi, si trattava di una formula duttile, tant’è che la Malvasia, secondo Ricasoli, non era necessaria nei vini destinati all’invecchiamento. Pochi anni dopo la morte di Ricasoli, sopraggiunta nel 1880, la direzione del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio annunciava che il Chianti era il solo vino italiano "consumato in notevole quantità, tanto in Italia che fuori" e la Toscana era la prima fra le regioni d’Italia a produrre "il vero tipo di vino rosso da pasto", come oggi lo richiedono il gusto dei consumatori e le esigenze del commercio vinario. Era il 1896 e l’Italia stava per diventare un paese industriale. L’esportazione di vino rappresentava ormai il 5% del commercio estero italiano.