"Il lavoro si sarebbe potuto svolgere in sicurezza, se si fossero stati adottati alcuni accorgimenti. Per esempio, utilizzando un radiocomando per disporre la chiusura del portellone della macchina a distanza, o provvedendo a una compartimentazione della zona di scarico". Così, ieri pomeriggio, il pubblico ministero Luigi Boccia, ha argomentato la richiesta di condanna per tutti e tre gli imputati nel processo che è scaturito dalle indagini sulla morte Vincenzo Scarlata. L’operaio, 46 anni, il 18 febbraio 2017 rimase intrappolato senza scampo nel portellone di chiusura del container su cui lavorava, alla Dife di Masotti. A giudizio, lo ricordiamo, con l’accusa di omicidio colposo, ci sono Franco Romani, di Montecatini, quale datore di lavoro, in quanto presidente del consiglio di amministrazione della Dife, difeso dall’avvocato Andrea Niccolai di Pistoia; Arnaldo Bonaveno, 66 anni, di Treviso, quale costruttore della macchina con la quale avvenne il terribile infortunio, difeso dall’avvocato Margherita Parietti, del foro di Pistoia e Orazio Latina, quale delegato alla sicurezza dell’azienda nel cda, che è difeso dall’avvocato Fabio Celli del foro di Pistoia. I familiari dell’operaio che erano assistiti dagli avvocati Lorenzo Santini e Fausto Malucchi di Pistoia, sono stati risarciti dall’azienda mentre, quale parte civile, resta costituita l’Associazione nazionale mutilati e invalidi sul lavoro, rappresentata dall’avvocato Giuseppe Alibrandi. Per tutti e tre gli imputati, il pubblico ministero ha chiesto una condanna a un anno e 4 mesi di reclusione, per omicidio colposo. Una morte spaventosa quella dell’operaio, ucciso dal portellone di chiusura del container al quale stava lavorando, che si chiuse senza scampo sulla sua tesa. Secondo la pubblica accusa, infatti, l’infortunio sarebbe stato causato dall’uso di un macchinario che non rispondeva ai requisiti essenziali di sicurezza. Il pulsante di chiusura del portellone del container, attivato inavvertitamente dall’operaio, infatti, sarebbe stato posizionato a breve distanza dal bordo, "in una zona pericolosa per l’operatore". Il processo, davanti al giudice Paolo Fontana, riprende il prossimo 17 febbraio, con le arringhe dei difensori. M.V.