In fuga coi soldi, condanna annullata per gli ex amanti

Ex amanti all’estero con 1,8 milioni di Acque. Ora si riparte da capo

Tribunale (foto d'archivio)

Tribunale (foto d'archivio)

Pisa, 11 marzo 2019 - La vicenda giudiziaria ripartirà da capo proprio fra qualche giorno, ma la prescrizione è ormai vicina, manca una manciata di mesi al termine. Era il 2007, quando da Acque Spa, tutelata dall’avvocato Stefano Del Corso, sparirono oltre un milione e 800mila euro tramite un sistema di bonifici. Due le persone che furono accusate e di cui si persero le tracce da subito, all’inizio erano una coppia. Lui, Enrico Busetta (seguito dai legali Sandro Guerra di Firenze e Nicola Angioni di Cagliari), pluricinquantenne di origini catanesi, ultima residenza a Monsummano; lei, cinquantenne di Capannori, Laura De Liso (difesa dalla penalista Lodovica Giorgi di Lucca), all’epoca dipendente della ditta di Ospedaletto. Una consistente parte della cifra è stata subito recuperata grazie all’iniziativa dell’azienda stessa. Adesso è rimasto in piedi il filone penale di un caso che, negli anni, è stato molto seguito in città.

Il buco era stato ricostruito dalla guardia di finanza di Pisa. Le indagini, coordinate dalla sezione di polizia giudiziaria presso la Procura della Repubblica, erano state particolarmente complesse con ricerche e approfondimenti di natura bancaria. Le prime tracce dei due avevano portato a Santo Domingo. Ma, a un certo punto, la loro presenza sarebbe stata accertata anche in Italia.

A novembre 2008, il giudice Pietro Murano emise un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, misura che non si riuscì a eseguire dato che i due amanti, poi ex, non furono trovati. Da qui, il decreto di latitanza. In primo grado, era maggio del 2012, i due, dopo un’ora soltanto di camera di consiglio, erano stati condannati a 7 anni e dieci mesi per peculato in concorso. I giudici (presidente Luca Salutini, a latere Marco Dell’Omo e Donato D’Auria) avevano di fatto accolto la richiesta del pubblico ministero Flavia Alemi, secondo cui gli imputati dovevano essere condannati a otto anni.

La difesa aveva presentato appello (il processo si è celebrato ben 6 anni dopo) sostenendo che il decreto di latitanza non era stato legittimamente adottato perché non sarebbero state compiute puntuali ricerche per trovare l’uomo e la donna. I giudici di secondo grado lo hanno dichiarato nullo e, con esso, anche la sentenza di primo grado. Quindi, le nuove ricerche e un secondo decreto di latitanza. Adesso, si riparte dall’udienza preliminare, ma il reato si prescrive in 12 anni e mezzo, vale a dire fra poco. Chissà se stavolta l’ex coppia si presenterà in Tribunale.