{{IMG_SX}}Montecatini, 14 luglio 2009 - Una sentenza perfetta, ineccepibile, così fu definita la condanna a 18 anni di carcere, con rito abbreviato, per Andrea Falaschi, il piastrellista di 35 anni di San Miniato di Pisa che la notte fra il 21 e il 22 febbraio del 2008 nel suo mini appartamento di via del Frantoio, a Montecatini, massacrò la bellissima ballerina lituana Oksana Auskelyte di 27 anni (nella foto).

 

Si frequentavano da poche settimane. Ci fu un banale litigio. Falaschi colpì Oksana con due bottigliate alla testa, poi l’accoltellò sotto il seno infine tentò di strangolarla, per poi finirla con due sacchetti di plastica sulla testa che la soffocarono. Chiuse il suo corpo nel trolley blu di Oksana, che andò a prendere nel suo appartamento di Montecatini, e all’alba lo gettò nel cassonetto sul passo del Serravalle dove fu ritrovato per puro caso. La Squadra Mobile, coordinata dal vicequestore Antonio Fusco e sotto la direzione del sostituto procuratore Ornella Galeotti, lo arrestò la sera stessa. L’ultima chiamata dal telefonino di Oksana era stata fatta a lui.

 

Ma per l’avvocato difensore, Angelo Soccio, del foro di Pistoia, ci sono margini per ricorrere in appello e ottenere uno sconto di pena. L’avvocato ha presentato il ricorso in appello pochi giorni fa, alla scadenza dei termini per un eventuale appello che avrebbe potuto essere presentato dalla stessa Procura. Ma non vi è stato. Soccio ci tiene a precisare subito una circostanza : «Si tratta di un atto dovuto, e non di una esagerazione, so che questa pena è sembrata mite ai familiari della ragazza e il Falaschi ha sempre detto che avrebbe accettato qualsiasi condanna. E’ un atto dovuto, perchè il giudice Alessandro Buzzegoli è stato molto equilibrato».

 

Ma c’è uno spiraglio, secondo il difensore, e lo offre la decisione del giudice di partire dal massimo della pena per omicidio non aggravato dalla premeditazione, e cioè da 24 anni: «Nelle motivazioni — spiega il penalista pistoiese — nell’indicare l’entità della pena, ha utilizzato come principio base la gravità del reato ed è partito dal massimo, ovvero 24 anni. Ma nella sentenza ha indicato il dolo d’impeto. La giurisprudenza (articolo 133) indica, nei criteri di attribuzione della pena, che si deve valutare l’intensità del dolo, e quindi il grado di colpevolezza, e il dolo d’impeto è il grado più lieve nell’omicidio volontario, dopo il dolo di proposito e di premeditazione. E allora — conclude Soccio — la pena di partenza è di 21 anni e non di 24».

 

«Premesso — scrive il giudice Buzzegoli — che non vi è la ben che minima traccia di una diminuita capacità di intendere e di volere dell’imputato e che, vista la lucidità del racconto, egli deve pertanto ritenersi persona pienamente capace di intendere e di volere al momento del fatto, non si ha nessuna difficoltà a concordare con la difesa che si sia trattato di un omicidio commesso con dolo d’impeto il che non significa però parlare di raptus (del tutto incompatibile con la condotta post delictum dell’imputato, compreso l’occultamento del cadavere), significa soltanto dire che il Falaschi ha deciso di uccidere sul momento (d’impeto, appunto) dopo un furibondo litigio con la vittima e non in modo premeditato, tant’è che questa aggravante non è stata contestata dal pm».

 

Furibondo litigio, scrive il giudice. E si apprende, soltanto ora, dagli atti, lo scenario agghiacciante dei rumori uditi quella notte. Il vicinato, in via del Frantoio, riferì agli inquirenti «Di una violenta lite — scrive il giudice — tra l’uomo e una donna la notte precedente al ritrovamento del cadavere e in particolare di avere udito provenire dall’abitazione del fermato delle grida di aiuto di una donna e successivamnete dei violenti colpi che si erano protratti per circa un’ora».

 

«E’ chiaro — scrive ancora Buzzegoli — che davanti a un omicidio particolarmente efferato come quello commesso dal Falaschi si è fortemente tentati dal dare comunque prevalenza alla oggettiva gravità del fatto ed escludere conseguentemente qualsiasi attenuazione di pena. Tuttavia, ferma restando detta indiscutibile gravità (per la quale si ritiene di applicare il massimo della pena per l’omicidio non aggravato e cioè 24 anni), nel caso di specie la concessione delle attenuanti generiche discende non certo dal fatto che il Falaschi è un soggetto incensurato, quanto dalla valutazione della condotta dell’imputato, non potendosi non apprezzare positivamente il manifestato pentimento, tradottosi non soltanto in una mera e sterile dichiarazione, quanto in una completa ed esaustiva confessione e in un (sia pure parziale), risarcimento del danno consistente però in una somma rappresentante, almeno allo stato, tutti i possibili sforzi economici dello stesso».

 

Falaschi ha versato ai familiari di Oksana quasi 80mila euro, tutto quello che possedeva. Il computo finale della pena, lo ricordiamo, fu di 16 anni per l’omicidio (i 24 di partenza ridotti di un terzo per la scelta dell’abbreviato) e i 2 anni per l’occultamento di cadavere (pena base di 3 anni, ridotti di un terzo). «Non era semplice — commenta infine l’avvocato Soccio — c’è stato un travaglio interiore da parte di tutti a fronte di indagini ben condotte. Buzzegoli era solo in camera di consiglio, e ha sopportato il peso maggiore». Entro dicembre l’udienza d’appello.