Carrara, 27 maggio 2014 - «Ho raccontato soltanto pietose bugie perché avevo di fronte una persona depressa, agitata e instabile che mi faceva paura». Così l’avvocato lunigianese Andrea Baldini, coinvolto nell’inchiesta della maxi truffa alla Carige per telefonate con Giovanni Berneschi, motiva il senso delle sue dichiarazioni intercettate dalle fiamme gialle e in una nota indirizzata alla Procura di Genova e della Spezia precisa quanto segue: «L’unica pratica che io ho svolto per Giovanni Berneschi in Procura della Spezia riguarda la denuncia fatta da Gianfranco Poli, della quale si è avuto notizia da un articolo apparso sul quotidiano La Nazione in data primo marzo 2014. Non facendo penale, ho chiesto che nel mandato fosse inserito anche l’avvocato Massimo Gianardi del foro della Spezia il quale ha inoltrato u na mail alla Procura. Il funzionario incaricato della Procura ha comunicato il 29 marzo che non risultavano iscrizioni suscettibili di comunicazione. Tra le note si dava informazione che in data 28 febbraio era stata presentata richiesta di archiviazione. Come si apprende dai giornali, le conversazioni tra Berneschi, me e mia moglie Pasqualina Fortunato, avvengono tutte nella seconda metà di marzo».

Baldini cade dalle nuvole parla di una guaio che si va ad aggiungere ad un altro dramma ben più grave: «Mia figlia è in coma in stato vegetativo permanente. Vive ricoverata in una rsa. Ho detto bugie pietose perché sono un uomo di sentimento». «Berneschi — prosegue la nota del legale — , che avevamo conosciuto quale presidente di Banca Carige, ci appariva in uno stato di depressione, di agitazione, di squilibrio in quanto decaduto dalla carica, denigrato e abbandonato da tutti, amici, conoscenti, dipendenti. 

Dopo l’ispezione della Banca d’Italia avvenuta alla Carige, girava voce che Berneschi sarebbe stato perseguito dalla Procura per reati concernenti l’amministrazione della banca. Non potevamo pensare allo scenario che si è aperto con le recenti indagini. Era preoccupato per la denuncia fatta da Poli nei suoi confronti. Per non essere pressato dalle sue insistenti telefonate raccontavo pietose storie nelle quali lo rassicuravo di essermi interessato presso amici magistrati. Il riferimento al fatto che il dottor Maurizio Caporuscio della Procura della Spezia apre il terminale dell’archivio penale e fornisce notizie è destituito di ogni fondamento».

«La prova — prosegue il legale — è contenuta nei fascicoli della Guardia di Finanza. Se Caporuscio avesse aperto il terminale, i finanzieri, che procedevano alle intercettazioni, avrebbero sentito mentre comunicavo a Berneschi la sua archiviazione. Si riporta una conversazione avvenuta tra me e Berneschi nella quale gli dico che la pratica è nelle mani di Alberto Cossu. E’ un nome di pura invenzione perché nel Tribunale della Spezia non esiste alcun magistrato con questo nome. Un’ ulteriore prova del fatto che fornivo al Berneschi notizie destituite di ogni fondamento è data anche dalla risposta a Berneschi che chiede se ci sono contenitori a nome suo a Genova. Io gli rispondo che ci sono solo procedimenti contro ignoti. La conversazione risale all’11 novembre 2013 e coloro che intercettavano hanno dalla mia stessa voce la prova lampante che ero all’oscuro di tutto, dal momento che fornisco una risposta errata». 

Cristina Lorenzi