Carrara, 17 settembre 2012 - MORIRE a venti anni, lontano da casa, per una missione di pace, colpito a tradimento da un cecchino mentre si fa jogging in un momento di pausa dal servizio. E’ quello che è accaduto a Giorgio Righetti, il caporale paracadutista della brigata Folgore, medaglia d’oro al valore dell’esercito, caduto a Mogadiscio il 15 settembre 1993 nel corso della missione di pace Ibis.Come ogni anno da quel giorno, il suo sacrificio è stato ricordato nel corso di una toccante cerimonia organizzata dalla sezione di Massa-Carrara “Quota 33” della associazione nazionale paracadutisti d’Italia. Due i momenti: la messa nella parrocchia della SS. Annunziata di Marina e la deposizione di fiori e le orazioni ufficiali al cimitero di Turigliano dove lo sfortunato paracadutista riposa. Presenti autorità civili e militari: l’assessore Raffaele Parrini per la Provincia, l’assessore Giuseppina Andreazzoli per il Comune, Carlo Boni per il consiglio comunale, il tenente colonnello Tonino Chiarenza per la brigata Folgore, un picchetto di paracadutisti, il labaro della Provincia decorato di medaglia d’oro, le associazioni d’arma di Marina, Aeronautica, dei paracadutisti, con i loro labari. Come sempre presente anche la mamma di Giorgio, Maria del Carmen Figueroa.


LA FIGURA di Righetti è stata ricordata in chiesa nel corso dell’omelia: nato in Cile nel 1973, arriva a Carrara a 11 anni, segue l’esempio del fratello maggiore e va nei paracadutisti, prolunga la ferma per andare in Somalia dove giunge nel giugno del ’93, nella compagnia aviolanci e manutenzione, adibito alla logistica e al servizio scorte, da dove torna tre mesi dopo dentro una bara. «Commemoriamo Righetti nel corso della messa perché è qui che ogni volta si commemora colui che ha dato la vita per tutti» ha detto don Francesco Pagani. Poi tutti al cimitero per deporre un mazzo di fiori tricolori sulla tomba, per il silenzio d’ordinanza, per la commemorazione.

 

«Per noi è un appuntamento importantissimo perché questi sacrifici spiegano la nostra esistenza come militari, portatori di pace, che non vanno in missione per denaro o per spirito di avventura, ma per un ideale in cui credono» ha detto il tenente colonnello Chiarenza visibilmente commosso che ha poi letto il testamento spirituale di Righetti, un colloquio con il suo comandante di compagnia pochi giorni prima di morire: «e riesco ad alleviare anche solo per un momento le sofferenze di questa gente senza colpe, ho raggiunto il mio scopo». E se per il prossimo anno, nel ventennale della morte, Parrini propone l’intitolazione di una strada o di una piazza a Righetti, la Andreazzoli sottolinea l’orgoglio con cui la madre porta al petto la medaglia del figlio. Mamma Maria, che nel 1988 aveva già perso il marito e che dopo la tragedia del 1993 perderà un altro figlio nel 1994, non perde la speranza: «Mi auguro che la gioventù di oggi abbia lo stesso spirito di sacrificio che ha avuto il mio Giorgio».

di MAURIZIO MUNDA