PATRIK PUCCIARELLI
Cronaca

"Una migrazione di ragazzini". Sempre più giovane chi cerca la vita

Parla Momar, il mediatore culturale di casa Betania, a cui profughi e fuggiti affidano i propri sogni

"Una migrazione di ragazzini". Sempre più giovane chi cerca la vita

Sono "ragazzi che fuggono perché non hanno libertà di parola, giovani dal futuro sbarrato che prendono il mare per non sottomettersi". La voce di Momar Tall è piena di rabbia, lui che è un mediatore culturale della cooperativa Casa Betania anche questa volta è in prima linea per ricevere i migranti sbarcati dalla Open Arms. E’ il settimo arrivo nel porto apuano e Momar li ha seguiti tutti, così prende un respiro e tira le somme. "Questa è una fuga che si sta trasformando sempre di più in una migrazione dei giovani. Posso iniziare con l’esempio del Senegal, io sono nato lì e proprio in questo momento 1020 ragazzi minori sono in prigione perché appartengono a un partito politico che va in contrasto con la dittatura del Governo".

Momar ha 53 anni e da 25 abita in Italia, è passato dalla frontiera con la Francia nel 1998, per poi ricevere dopo poco il permesso di soggiorno. "Erano altri anni quelli, era più facile arrivare in Italia – prosegue –, anche in quel periodo si fuggiva per un futuro migliore ma mai così tanti giovani come in questi anni". Su questo frangente di minori in fuga sono aumentate le migrazioni dall’Africa occidentale come Mali, Niger, Guinea, Burkina Faso, Senegal e Benin perché questi governi stanno facendo di tutto per "zittire la popolazione e i giovani non vedono un futuro migliore – puntualizza –. Rischiano le loro vite facendo le manifestazioni per cambiare qualcosa ma vengono imprigionati", 94 sono questa volta i minori non accompagnati, il 53% dei 176 dello sbarco di ieri con provenienza da Gambia, Ghana, Sudan e Siria.

"E’ la gioventù che si ribella – specifica Momar –, spinti dai genitori questi giovani fanno parte del cambiamento dell’Africa, un continente oppresso dall’Europa che non è libero di scegliere i propri accordi e oggi non vuole più essere sfruttato, ci vuole rispetto e collaborazione solo in questo modo possono diminuire le migrazioni". Parole dette da chi si trova ad accogliere coloro che fuggono e vede nei loro occhi la frustrazione di chi non può restare nel proprio paese perché "‘there’s no place like home’, non c’è nessun posto come casa, ognuno di noi vorrebbe rimanere a casa e vedere il propio paese svilupparsi".

Così è all’entrata Momar quella di CarraraFiere, con il suo gilet arancione e un sorriso, accoglie i migranti sbarcati poi li accompagna dove verranno identificati, gli sta accanto li tranquillizza, "è la prima volta che vedono qualcuno che sorride – spiega – sono passati di carcere in carcere, giovani che hanno paura, così dopo un po che sono con noi si riprendono e iniziano a raccontare le loro storie". "Quando sento parlare di blocco navale, chiusura delle frontiere, fermare gli sbarchi - conclude infine - mi vengono i brividi perché è nota la situazione che vivono queste persone nei loro paesi e in questo modo vuol dire ‘volere la botte piena e la moglie ubriaca’ cioè avere accordi con i governi dell’Africa, usufruire dei beni presenti ma voltare le spalle alle conseguenze. Ci dobbiamo rendere conto che anche tanti pescatori si stanno trasformando in scafisti perché non vedono più futuro neanche a pescare nel loro mare. L’occidente deve accogliere e accettare chi vuole un futuro migliore perché chi fugge lo fa per sopravvivere da guerre e dittature e non vuole sottomettersi".