Arca Slow Food per salvare gli ortaggi. C’è il rischio di perdere i vecchi sapori

Bisogna salvare le bietole degli orti, le patate di Zeri e i fagioli di Bassone

Cuoche lungianesi all'opera (foto d'archivio)

Cuoche lungianesi all'opera (foto d'archivio)

Massa, 28 novembre 2018 - I sapori della tradizione stanno scomparendo. Molte varietà di ortaggi, legati alla tradizione non vengono più coltivati e c’è il rischio che non si possano più gustarespecialità della cucina che sono un richiamo turistico importante per il territorio. Per riscoprire e far sopravvivere le antiche colture, lo Slow Food provinciale ha pronto un progetto per creare una «task force» di esperti che in collaborazione con l’Agenzia regionale di sviluppo agricolo, si mettano alla ricerca degli ortaggi perduti. L’obiettivo è la classificazione delle varie specie di germoplasmi che potranno così essere recuperati alla coltivazione intensiva grazie ai fondi regionali. Le cipolle di Treschietto, i fagioli di Bigliolo, di Bassone e Filattiera, le patate della Formentara di Zeri, oppure le bietole che nascono rigogliose negli orti e che conferiscono alla torta d’erbe quel caratteristico gusto, sono tra le specialità vegetali che gli esperti dovranno inserire nell’elenco di quelle da salvaguardare.

La stagione estiva porta in trionfo le torte d’erbi e sulla tavola pontremolese piombano plotoni di torte, ma con l’impasto «al crudo», una modalità tipica della cultura gastronomica locale perché in Lunigiana c’è chi le trita, le sala, le strizza e chi le scotta, chi le taglia e lava con acqua tiepida e chi addirittura le fa soffriggere in padella. Abituati a cibi preparati con la farina di castagno i consumatori potevano cambiare menù grazie alle erbe alimentari. Attenzione: c’è differenza tra torta «d’ erbi» e «d’erbe». La prima è preparata solo con le bietole, l’altra con erbe spontanee, tra cui le cime d’ortica che offrono una varietà di sapori e di gusto. Ma nella ricerca rientrano anche i diversi tipi di frumento autoctono.

La Lunigiana si caratterizza per una cultura e una tradizione gastronomica che fonda nella semplicità delle preparazioni la propria unicità, in particolare per quei cibi basati sulla farina di grano tenero come i pani cotti a legna, i panigacci, le torte d’erbi, il testarolo, in cui la qualità della materia prima può contribuire a fare la differenza. Per questo sono state messe a confronto farine diverse per recuperare il sapore del pane antico. In particolare sono state testate due tipi di farine la «Ventitré» di origine zerasca e la «Bolero» coltivata nel pontremolese. E’ questa una delle iniziative che potrebbero essere inserite nel sistema di salvaguardia della biodiversità agricola della Regione Toscana che ha organizzato un seminario sulla valorizzazione delle agrobiodiversità. Ora sono iscritte al repertorio della Regione Toscana 871 risorse genetiche: 576 di specie legnose e da frutto, 133 erbacee, 114 specie ornamentali e da fiore, 25 di interesse forestale. Infine 23 sono le risorse genetiche animali.

Di queste 871 ben 745 sono considerate a rischio di estinzione. Per mantenerle in vita la Regione da 20 anni ha creato una rete di protezione formata da quasi 200 coltivatori custodi, il cui impegno consiste nel mantenimento in purezza di queste varietà e da alcuni nodi di riferimento, le cosiddette banche del germoplasma: sono ben 9 in Toscana e in queste si garantisce la conservazione di tutte le varietà. E’ nato un nuovo concetto di ruralità che vede l’agricoltura non chiusa in se stessa, ma in stretto rapporto con produzione, commercio e turismo.