Sanac, la disperazione dei lavoratori

A Massa i sindacati annunciano nuove proteste insieme ai dipendenti dell’ex Ilva di Taranto. E Il 13 tutti a Roma

Dipendenti Sanac durante l’ultimo sit-in in città prima di andare a Palazzo Ducale

Dipendenti Sanac durante l’ultimo sit-in in città prima di andare a Palazzo Ducale

Massa, 6 novembre 2019 - Sembrano quasi storditi, i dipendenti della Sanac di Massa. Dopo mesi di battaglie e di promesse, speravano in un lieto fine, invece ora il loro posto di lavoro è appeso a un filo. Se il governo non ripristinerà lo scudo penale per i manager dell’ex Ilva di Taranto e non convincerà Arcelor Mittal a riprendere in mano lo stabilimento pugliese, le possibilità che la multinazionale rilevi il gruppo Sanac sono minime. Ieri dalla fabbrica massese i membri della Rsu hanno chiamato la città pugliese parlando con i dirigenti sindacali dell’acciaieria.

«Loro sono più di 10mila, noi come Sanac nei quattro stabilimenti non arriviamo a 400 – spiega Stefano Tenerini, dirigente Cisl – quindi dobbiamo stare uniti se vogliamo contare. Dobbiamo cercare di pesare politicamente, visto che è lo Stato il nostro datore di lavoro attuale. E per questo siamo pronti a fare nuove proteste con sit-in, sciopepri e cortei». Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda Nicola Del Vecchio, dirigente Cgil. Che è persino più duro del suo collega della Cisl nel criticare questo governo.

«L’Italia non può rinunciare all’acciaio. Non possiamo permettercelo. E l’Italia deve essere un paese affidabile, non cambiare idea di continuo. E’ follia. Il 20 dicembre scade il tempo che Arcelor Mittal si è presa per rilevare Sanac. E non ci sono altre prospettive. Il 13 di questo mese andremo come sindacati a Roma alla sede del Ministero per incontrare anche l’amministrazione controllata del nostro gruppo. Gli chiederemo di cercare nuovi mercati per trovare nuove commesse. Lo stabilimento di Massa ha lavoro per tutto novembre, forse anche per i primi di dicembre ma è difficile arrivare con questo carico di lavoro a fine anno. Dobbiamo trovare nuovi clienti, anche se sappiamo che Taranto è il nostro principale cliente e senza l’ex Ilva non si può andare avanti. I dipendenti della nostra fabbrica sono 112 più 9 contratti a termine. Questi ultimi rischiano di rimanere tutti a casa già nei prossimi giorni».

Quanto sta accadendo ha ovviamente ripercussioni politiche. Martina Nardi, parlamentare Pd scrive: «Come Pd presenteremo la richiesta di rintrodurre la norma, ma riscritta in maniera più congrua, anche e soprattutto rispetto alla sentenza della Corte Costituzionale che pende. ArcelorMittal sapeva tutto quando è venuta, sia che la Corte costituzionale avrebbe potuto dichiarare incostituzionale quel provvedimento, sia che l’azienda aveva ed ha grandi problemi di carattere ambientale. Sapeva tutto e ha accettato gli accordi». Cosimo Maria Ferri, di Italia Viva, spiega invece che «le aziende investono se vedono stabilità e coerenza. I ministri Di Maio prima e oggi Patuanelli hanno sottovalutato la questione. Non andavano creati alibi ad Arcelor e bisognava porre in essere tutte le condizioni per tenere l’azienda impegnata e vincolata. L’eliminazione dello scudo penale viene utilizzata come scusa per scappare o per rilanciare le condizioni? Lo si vedrà nelle prossime ore ma non andava creata questa situazione. Il Governo sarebbe stato più forte nella trattativa. I cavilli giuridici non sono però così a favore di Arcelor Mittal e non è scontato il diritto di recesso dal contratto. Sta al Presidente Conte, questa volta si, fare l’avvocato del Paese e non arretrare. La politica industriale, nel rispetto di sicurezza sul lavoro ed ambiente, e’ un motore che traina e fa correre il Paese e questi errori di valutazione sono pericolosi per i lavoratori, per l’indotto, per l’economia in generale. Ora però e’ il momento di lavorare per trovare una soluzione e salvare un’azienda strategica. Lavoreremo tutti in questa direzione e non mancherà il nostro contributo costruttivo». © RIPRODUZIONE RISERVATA