La capitana dell’Arma Rosa Sciarrone libera da tutte le accuse a lei mosse

di Alfredo Marchetti  Assolta da tutte le accuse. Si chiude l’odissea giudiziaria che aveva travolto la capitana Rosa Sciarrone, accusata di falso, peculato e calunnia. La carabiniera era finita sotto processo perché accusata di essersi appropriata di denaro, circa 5mila euro, e gioielli che erano sotto sequestro penale e custoditi in caserma a Massa. Dopo 6 ore di udienza, la decisione del presidente del collegiale Ermanno De Mattia arriva alle 21. La sentenza è stata accolta con un pianto liberatorio dalla capitana. Il Pm Marco Mansi, all’esito della sua requisitoria, aveva richiesto per la capitana una condanna di 6 anni e 7 mesi di reclusione. Il legale della capitana, Stefano Gomiero, ha però smontato tutto l’impianto accusatorio. La difesa ha espresso la propria incredulità "in merito alla conclusione della Procura, a fronte di un’indagine assolutamente indiziaria, sviluppata con tecnica verificazionistica, ben riassunta dal “post hoc ergo propter hoc”, sofisma per adduzione che consiste nell’assumere per causa quello che è un antecedente temporale. Siccome la capitana ha comandato l’aliquota operativa e radiomobile fino al settembre 2017 tutto quello che è capitato prima di tale data sarebbe colpa sua. Così, tutti gli indizi raccolti sono stati indirizzati, univocamente, contro di lei dai suoi stessi colleghi. Tuttavia accusatori e accusata facevano parte del medesimo ufficio e avevano responsabilità simili nella gestione dei corpi del reato, anzi l’istruttoria dibattimentale ha inoppugnabilmente restituito al processo come la capitana mai abbia confezionato un solo plico, non avendo nella sua stanza nemmeno il materiale per provvedervi e non rientrando nei suoi compiti".  "Le uniche comunicazioni ufficiali – prosegue – inoltrate alla Procura e a tutta la scala gerarchica in relazione alla vicenda dello smarrimento dei monili Pucci sono state effettuate dalla sola Sciarrone in data 29 ottobre 2015. La comunicazione della notizia di reato contro ignoti è stata del febbraio 2018, a sei mesi dal trasferimento della capitana a Verona, senza che alla stessa sia stato chiesto di relazionare alcunché, come invece fatto con i componenti della caserma La Plava, i quali, con le loro annotazioni hanno esclusivamente pensato di allontanare ogni sospetto in ordine al proprio operato. In altre parole, i soggetti che avrebbero dovuto sedere al banco degli imputati con la Sciarrone sono diventati i suoi accusatori, testimoni privilegiati della Procura. Le indagini successivamente compiute si sono limitate a validare l’ipotesi iniziale senza che alla Sciarrone sia mai stata data la possibilità, come a tutti gli altri militi, di dare la sua versione sulla vicenda Pucci. Le corpose intercettazioni, la disamina dei conti correnti (effettuate esclusivamente su quelli dell’unica imputata) la suggestiva compulsazione di oltre 80 compro oro non ha restituito al processo una sola prova, se non che i corpi di reato sono stai aperti e chiusi, riaperti e richiusi nel corso degli anni da altri carabinieri, guarda caso quando la capitana era in licenza, malattia o ferie. Nessuna prova infine, se non il versamento da parte della Sciarrone della somma di 4935 euro effettuata per il terrore di subire ulteriore procedimento disciplinare, dopo quello Pucci, con grave pregiudizio per la carriera". "Ho sempre creduto nella giustizia – dice Sciarrone –. Ringrazio mia mamma, mia sorella e mio fratello, mio marito Paolo ed il mio avvocato che mi sono sempre stati vicini in questi anni difficili. Mai avrei pensato che mi potesse capitare una cosa del genere, in quanto ho sempre considerato i miei sottoposti e superiori di Massa come la mia famiglia. Un pensiero al mio papà, che non ha avuto il tempo di condividere questa indescrivibile gioia".

Cronaca

di Alfredo Marchetti

Assolta da tutte le accuse. Si chiude l’odissea giudiziaria che aveva travolto la capitana Rosa Sciarrone, accusata di falso, peculato e calunnia. La carabiniera era finita sotto processo perché accusata di essersi appropriata di denaro, circa 5mila euro, e gioielli che erano sotto sequestro penale e custoditi in caserma a Massa. Dopo 6 ore di udienza, la decisione del presidente del collegiale Ermanno De Mattia arriva alle 21. La sentenza è stata accolta con un pianto liberatorio dalla capitana. Il Pm Marco Mansi, all’esito della sua requisitoria, aveva richiesto per la capitana una condanna di 6 anni e 7 mesi di reclusione. Il legale della capitana, Stefano Gomiero, ha però smontato tutto l’impianto accusatorio. La difesa ha espresso la propria incredulità "in merito alla conclusione della Procura, a fronte di un’indagine assolutamente indiziaria, sviluppata con tecnica verificazionistica, ben riassunta dal “post hoc ergo propter hoc”, sofisma per adduzione che consiste nell’assumere per causa quello che è un antecedente temporale. Siccome la capitana ha comandato l’aliquota operativa e radiomobile fino al settembre 2017 tutto quello che è capitato prima di tale data sarebbe colpa sua. Così, tutti gli indizi raccolti sono stati indirizzati, univocamente, contro di lei dai suoi stessi colleghi. Tuttavia accusatori e accusata facevano parte del medesimo ufficio e avevano responsabilità simili nella gestione dei corpi del reato, anzi l’istruttoria dibattimentale ha inoppugnabilmente restituito al processo come la capitana mai abbia confezionato un solo plico, non avendo nella sua stanza nemmeno il materiale per provvedervi e non rientrando nei suoi compiti". 
"Le uniche comunicazioni ufficiali – prosegue – inoltrate alla Procura e a tutta la scala gerarchica in relazione alla vicenda dello smarrimento dei monili Pucci sono state effettuate dalla sola Sciarrone in data 29 ottobre 2015. La comunicazione della notizia di reato contro ignoti è stata del febbraio 2018, a sei mesi dal trasferimento della capitana a Verona, senza che alla stessa sia stato chiesto di relazionare alcunché, come invece fatto con i componenti della caserma La Plava, i quali, con le loro annotazioni hanno esclusivamente pensato di allontanare ogni sospetto in ordine al proprio operato. In altre parole, i soggetti che avrebbero dovuto sedere al banco degli imputati con la Sciarrone sono diventati i suoi accusatori, testimoni privilegiati della Procura. Le indagini successivamente compiute si sono limitate a validare l’ipotesi iniziale senza che alla Sciarrone sia mai stata data la possibilità, come a tutti gli altri militi, di dare la sua versione sulla vicenda Pucci. Le corpose intercettazioni, la disamina dei conti correnti (effettuate esclusivamente su quelli dell’unica imputata) la suggestiva compulsazione di oltre 80 compro oro non ha restituito al processo una sola prova, se non che i corpi di reato sono stai aperti e chiusi, riaperti e richiusi nel corso degli anni da altri carabinieri, guarda caso quando la capitana era in licenza, malattia o ferie. Nessuna prova infine, se non il versamento da parte della Sciarrone della somma di 4935 euro effettuata per il terrore di subire ulteriore procedimento disciplinare, dopo quello Pucci, con grave pregiudizio per la carriera".
"Ho sempre creduto nella giustizia – dice Sciarrone –. Ringrazio mia mamma, mia sorella e mio fratello, mio marito Paolo ed il mio avvocato che mi sono sempre stati vicini in questi anni difficili. Mai avrei pensato che mi potesse capitare una cosa del genere, in quanto ho sempre considerato i miei sottoposti e superiori di Massa come la mia famiglia. Un pensiero al mio papà, che non ha avuto il tempo di condividere questa indescrivibile gioia".

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