La tradizione vuole che gli ultimi tre giorni di gennaio siano riconosciuti fra i più freddi dell’anno: i “giorni della merla“. Nel passato, all’epoca della mezzadria, era il periodo in cui aveva inizio la macellazione del maiale per uso casalingo, le cui carni servivano per il sostentamento della famiglia del colono, specie nel lungo periodo invernale. Era il momento in cui il norcino si spostava da un casolare all’altro per trasformare il maiale allevato nella stalla, in saporite salsicce e succulenti salami. Una tradizione che rischia di scomparire. Così ci siamo recati dalla famiglia di Dario Tonelli di San Terenzo, nel fivizzanese, dove questa usanza è ancora in auge. "Lo sterno del maiale, detto “osso di petto“ – spiega Tonelli – spettava al contadino per intero, così pure la coda che veniva data a colui che nella famiglia s’era occupato di dare da mangiare all’animale". "La tradizione vuole che, il giorno della preparazione degli insaccati – aggiunge Alberta, la moglie dell’allevatore – in famiglia si mangi il riso in brodo ottenuto mettendo a bollire l’osso di petto e successivamente la relativa carne accompagnata da cavoli "bronzini" cotti a vapore, conditi con l’olio nuovo". Quella della preparazione del maiale, era giornata molto attesa nelle famiglie rurali: il momento in cui, messe da parti fatiche e privazioni, si mangiava finalmente carne, bevendo il vino novello a sazietà. Un giorno di festa per cui in Lunigiana viene usato ancora oggi il proverbio "prendersela come nel giorno in cui si prepara il maiale" per indicare il momento in cui è concesso fare uno strappo alle regole e prendersela comoda... Inoltre, sussistevano riti particolari come il cibarsi della coda del suino arrostita sulla fiamma, auspicio di prosperità per la nuova annata. Tradizioni queste, ancora rispettate nelle superstiti aziende agrarie dove, nel periodo della preparazione di salsicce, testa in cassetta, salami e sanguinacci, chi ha la fortuna di viverle, avrà modo di scoprire i trascorsi in cui la gente socializzava, "prestandosi le giornate", i momenti in cui ci si aiutava l’un l’altro nello svolgere i gravosi lavori nei campi: forse la prima forma di solidarietà antica, simbolo fondante della coesione sociale di un tempo. Roberto Oligeri