di Francesco Scolaro    Sono passati oltre 30 anni da quando la ex Italiana Coke ha abbandonato la zona industriale apuana e soltanto oggi, inizio febbraio, la Regione Toscana ha avviato in maniera ufficiale il procedimento di individuazione del soggetto responsabile della contaminazione, come prevede la legge del 1990 ma soprattutto in un’ottica di intervento di bonifica che non può essere attuato e pagato dallo Stato senza avere almeno un responsabile, che sia solvibile o meno, come dispone il testo unico dell’ambiente. Indagini che servono a identificare il responsabile della contaminazione, per poi diffidarlo con ordinanza motivata a porre in essere gli interventi necessari a mettere in sicurezza e bonificare l’area e se non è più solvibile o rintracciabile allora tocca allo Stato.  Stiamo parlando di un’area che oggi non è più Sito di interesse nazionale ma è Sir che rientra a tutti gli effetti nel perimetro all’interno del quale la Regione, in vista di ulteriori finanziamenti da parte dello Stato, ha stanziato 12 milioni di euro per effettuare la bonifica della falda, sperando si riesca a partire entro l’anno. L’avvio della procedura quindi arriva comunque dopo una fase di elaborazione ‘interna’ alle istituzioni che ha portato a trovare circa 90 documenti sulla vicenda, in particolare risalenti agli anni ’90. Ora si apre ai contributi esterni con la speranza che arrivino anche apporti risolutivi. La Italiana Coke, già Cokapuania del gruppo MontecatiniEdison, copriva una superficie complessiva di 350.000 metri quadrati, come riportano le schede di Arpat: l’attività industriale, iniziata nel 1947 e terminata nel 1989, riguardava principalmente la produzione di coke metallurgico ottenuto dalla distillazione del carbon fossile e benzolo. La chiusura degli impianti avvenne nel 1990 e le operazioni di svuotamento, con demolizione e rimozione degli scarti, furono effettuate fino al 1991. "Durante questa fase i servizi territoriali della Usl presenziarono costantemente alle operazioni, non sempre svolte correttamente, tanto che furono emesse dall’allora sindaco ben 8 ordinanze – si legge in un report di Arpat del 2004 –. Nel corso delle operazioni furono evidenziati sversi e scarichi anomali, da cui subito emersero forti dubbi sulla contaminazione della falda".  I monitoraggi della falda hanno comunque sempre confermato la contaminazione nonostante gli importanti interventi effettuati con impianti di ‘biosparging’ che aveva alcuni limiti nella bonifica di terreni contaminati da masse catramose. Oggi buona parte dell’area, nei lotti in cui è stato suddiviso il terreno, risulta con bonifica approvata ma anche le analisi effettuate per conto di Sogesid fra 2019 e 2021 hanno confermato l’inquinamento delle aree sotterrane dove "i contaminanti di natura organica ed inorganica rilevati in falda sono compatibili con le attività della ex Cokeria, quali BTEX, IPA, Idrocarburi, Ammoniaca, Fe, Mn e As. Si riscontra in particolare una contaminazione diffusa per inquinanti inorganici e metalli quali ammonica, ferro, manganese e arsenico, mentre è più circoscritta la contaminazione da composti organici quali Idrocarburi, BTEX ed IPA". Un quadro complesso e attivo che ha comunque fatto ipotizzare il permanere di una o più sorgenti di contaminazione legate sia a terreni contaminati e non ancora bonificati sia al residuo interramento di scarti di produzione riconducibili alle vecchie lavorazioni industriali. I lotti di terreno ancora non ritenuti bonificati sono l’1 e il 7. Il progetto di bonifica prevede la creazione di un’ulteriore barriera idraulica puntuale con 5 pozzi per isolare una sorgente di contaminazione forse ancora attiva all’interno del sito, nel ‘lotto 7’ al confine con il Lavello.

Cronaca

di Francesco Scolaro 
 
Sono passati oltre 30 anni da quando la ex Italiana Coke ha abbandonato la zona industriale apuana e soltanto oggi, inizio febbraio, la Regione Toscana ha avviato in maniera ufficiale il procedimento di individuazione del soggetto responsabile della contaminazione, come prevede la legge del 1990 ma soprattutto in un’ottica di intervento di bonifica che non può essere attuato e pagato dallo Stato senza avere almeno un responsabile, che sia solvibile o meno, come dispone il testo unico dell’ambiente. Indagini che servono a identificare il responsabile della contaminazione, per poi diffidarlo con ordinanza motivata a porre in essere gli interventi necessari a mettere in sicurezza e bonificare l’area e se non è più solvibile o rintracciabile allora tocca allo Stato. 
Stiamo parlando di un’area che oggi non è più Sito di interesse nazionale ma è Sir che rientra a tutti gli effetti nel perimetro all’interno del quale la Regione, in vista di ulteriori finanziamenti da parte dello Stato, ha stanziato 12 milioni di euro per effettuare la bonifica della falda, sperando si riesca a partire entro l’anno. L’avvio della procedura quindi arriva comunque dopo una fase di elaborazione ‘interna’ alle istituzioni che ha portato a trovare circa 90 documenti sulla vicenda, in particolare risalenti agli anni ’90. Ora si apre ai contributi esterni con la speranza che arrivino anche apporti risolutivi. La Italiana Coke, già Cokapuania del gruppo MontecatiniEdison, copriva una superficie complessiva di 350.000 metri quadrati, come riportano le schede di Arpat: l’attività industriale, iniziata nel 1947 e terminata nel 1989, riguardava principalmente la produzione di coke metallurgico ottenuto dalla distillazione del carbon fossile e benzolo.
La chiusura degli impianti avvenne nel 1990 e le operazioni di svuotamento, con demolizione e rimozione degli scarti, furono effettuate fino al 1991. "Durante questa fase i servizi territoriali della Usl presenziarono costantemente alle operazioni, non sempre svolte correttamente, tanto che furono emesse dall’allora sindaco ben 8 ordinanze – si legge in un report di Arpat del 2004 –. Nel corso delle operazioni furono evidenziati sversi e scarichi anomali, da cui subito emersero forti dubbi sulla contaminazione della falda". 
I monitoraggi della falda hanno comunque sempre confermato la contaminazione nonostante gli importanti interventi effettuati con impianti di ‘biosparging’ che aveva alcuni limiti nella bonifica di terreni contaminati da masse catramose. Oggi buona parte dell’area, nei lotti in cui è stato suddiviso il terreno, risulta con bonifica approvata ma anche le analisi effettuate per conto di Sogesid fra 2019 e 2021 hanno confermato l’inquinamento delle aree sotterrane dove "i contaminanti di natura organica ed inorganica rilevati in falda sono compatibili con le attività della ex Cokeria, quali BTEX, IPA, Idrocarburi, Ammoniaca, Fe, Mn e As. Si riscontra in particolare una contaminazione diffusa per inquinanti inorganici e metalli quali ammonica, ferro, manganese e arsenico, mentre è più circoscritta la contaminazione da composti organici quali Idrocarburi, BTEX ed IPA".
Un quadro complesso e attivo che ha comunque fatto ipotizzare il permanere di una o più sorgenti di contaminazione legate sia a terreni contaminati e non ancora bonificati sia al residuo interramento di scarti di produzione riconducibili alle vecchie lavorazioni industriali. I lotti di terreno ancora non ritenuti bonificati sono l’1 e il 7. Il progetto di bonifica prevede la creazione di un’ulteriore barriera idraulica puntuale con 5 pozzi per isolare una sorgente di contaminazione forse ancora attiva all’interno del sito, nel ‘lotto 7’ al confine con il Lavello.

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