Nella copiosa documentazione raccolta in queste settimane dalla Regione ci sono atti che spaziano dagli anni ’50 a oggi, con un ricco fascicolo che risale soprattutto agli anni ’90 relativo alle operazioni di bonifica degli impianti e dei terreni. Per l’individuazione del responsabile della contaminazione diventano essenziali però documenti riferiti agli anni in cui l’impianto ex Italiana Coke era in funzione, come quello del 1964-1965 relativo ai campionamenti dello scarico industriale in un fosso demaniale che a sua volta affluiva nel Lavello: "Le acque di scarico dello stabilimento Cokapuania assommano a circa 3mila metri cubi al giorno. Si presentano opalescenti con forte odore da sostanze chimiche" e continua "contengono quantità talvolta apprezzabili di sostanze catramose e un tenore in fenoli assai elevato", riportando fino a 216 milligrammi per litro. "La presenza di notevoli quantità di fenoli crea difficoltà nei trattamenti biologici e limita tale possibilità al sistema di ossidazione con letti percolatori acclimatati". Questoo il passato. Non mancano però episodi chiave anche nel recente presente, legati in particolari alle analisi della falda effettuate per conto di Sogesid. C’è un verbale di Arpat relativo a un sopralluogo effettuato il 16 maggio del 2019, su chiamata dei tecnici Sogesid. Durante un sondaggio nell’area ex Italiana Coke era stata trovata un’ampia porzione ‘strana’ di sottosuolo caratterizzato da "odore puntente" e "colorazione nerastra". Una presenza ‘alta’ circa 2 metri oltre i 15 metri di profondità. I campioni sono stati consegnati ad Arpat e due di questi hanno riportato la presenza nei terreni di arsenico 50 volte oltre il limite circa (2.691 milligrammi per chilo), piombo da 2 a 3 volte oltre il limite soglia e mercurio, da 3 a 5 volte oltre il limite di legge (da 14,3 milligrammi per chilo a 56,3 milligrammi per chilo).