"I miei giorni in Terapia intensiva mentre accanto qualcuno moriva"

"Cercavo conforto pensando a mio marito e ai figli ma mi emozionavo troppo. E’ stato veramente terribile"

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"Scrivo del Covid per affrontare questo disagio e sarà comunque terapeutico". Chiara Pieroni si affida al racconto per esorcizzare la paura del vissuto. Ha 53 anni, insegna italiano. "Passa l’estate – racconta – e indossare la mascherina è divenuto un gesto meccanico, cerchiamo di non abbassare la guardia. Ma un giorno arriva la febbre alta e con la tachipirina non passa. Poi la tosse, non la mia solita di stagione, questa è secca e dolorosa. Dopo circa sei giorni faccio il tampone: positivo. Arriva l’Usca a casa, misurano la saturazione: 74. Viene chiamato il 118, mi caricano sull’ambulanza, poi al pronto soccorso dove mi fanno una Tac ai polmoni. Ho una polmonite bilaterale da Covid conelementi a forma di stella cometa (il lato poetico del Covid)".

A Lucca, in Terapia intensiva, Chiara viene intubata. "Ho paura – lo dico quasi gridando –. Mi hanno avvicinato un respiratore per addormentarmi. “Faccia un bel respiro e pensi a cose belle“. Quello che è successo dopo non ricordo nulla". Non c’è più memoria dei giorni. "Provano a svegliarmi per verificare se rispondo ad alcuni stimoli: stringere il pollice del dottore, alzare la mano destra e la sinistra, guardare verso destra e verso sinistra, quanti figli ho (rispondo a gesti, perché ho un coso di metallo nella trachea). Non sono ancora consapevole di essere scampata alla morte, anche se ancora in pericolo, ma per me il vero incubo inizia lì".

Il racconto fa star male. "Sento tutto e vedo tutto – dice Chiara – percepisco distorti suoni e immagini. Mi riportano a Massa, viaggio in ambulanza sempre intubata. La Terapia intensiva di Massa sembra un quadro di Mondrian: il bancone, le pareti, le porte sono dipinte con colori primari. Se non fosse un luogo dove molti si salvano ma altri non ce la fanno, sarebbe quasi piacevole. I momenti peggiori sono quando mi devono aspirare i polmoni, è veramente terribile, ma poi si sta meglio. Capita che il tuo vicino di letto non sopravviva. Più di una volta ho visto persone morire davanti ai miei occhi, guardavo mentre venivano spente le macchine e mi odiavo, perché in quel momento non sentivo niente, non provavo compassione né dispiacere e mi dicevo “sono proprio una pessima persona“, non mi riconoscevo. Cercavo conforto nel pensare a mio marito e ai miei figli, nella preghiera, ma mi emozionavo troppo". Poi, il 28 ottobre, "la scuffiamo": il tubo viene tirato fuori. Provo a parlare, ma non esce alcun suono. Mi mettono in testa il casco Cpap, sembro un’astronauta, lo terrò per venti ore consecutive (so che molti lo tengo per giorni, non so come facciano a resistere).Tolgono anche il casco e il 30 ottobre mi portano in reparto Covid: non sono più in pericolo. E sotto la mascherina, sorrido".

"Ora – conclude – voglio approfittare di questo anche per ringraziare medici, infermieri, oss e tutti coloro che sacrificano tantissimo delle loro vite per curarci, con turni massacranti e con il rischio costante di crollo psicologico e fisico. Sono straordinari, tutti".

Angela Maria Fruzzetti