Edison non ci sta e ricorre al Consiglio di Stato

Oggi torna tutto in discussione dopo la storica sentenza del Tar che si era espresso nel merito dell’avvelenamento delle acque sotterranee

di Francesco Scolaro

Ex Farmoplant, Edison ha deciso di non darsi per vinta e ha presentato ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar di Firenze che aveva stabilito la (co)responsabilità dell’azienda nell’inquinamento della falda di Massa Carrara nell’area oggi Sin e Sir, soprattutto a valle del fosso Lavello. E’ un braccio di ferro estenuante che fra uffici tecnici e aule giudiziarie si sta trascinando ormai da decenni senza che gli abitanti del territorio apuano riescano finalmente a ottenere risposte e, magari, pure giustizia. La decisione del tribunale amministrativo, pubblicata a novembre, era stata accolta con un grido di gioia anche se le possibilità che il colosso decidesse di non arrendersi e ricorrere in appello erano comunque altissime.

Una sentenza storica, a ogni modo, perché per la prima volta i giudici di Firenze, Rosaria Trizzino, presidente, Alessandro Cacciari, consigliere estensore, e Nicola Fenicia, primo referendario, si erano espressi nel merito dell’avvelenamento delle acque sotterranee di aree industriali e residenziali di Massa Carrara. Lo avevano fatto ufficialmente su una causa iniziata nel 2018 ma che per la nostra provincia fa riferimento a vicende decennali che trovano la loro origine e il simbolo della lotta nell’esplosione della Farmoplant, nella nera nube carica di veleni che si era sollevata in cielo il 17 luglio del 1988. Una decisione presa alla fine di una lunga battaglia che Edison ha portato avanti con il Ministero dell’Ambiente, Arpat, Ispra e pure due aziende private costituite in giudizio, ossia La Victor Scarl e Ivan Massa Srl, a suon di perizie tecniche.

Il Tar aveva infatti nominato un consulente tecnico d’ufficio, il chimico Arthur Alexanian, che avrebbe dovuto dire se, e magari anche in quale percentuale probabilistica, l’inquinamento nelle acque di falda a valle e a monte dell’area ex Farmoplant fosse attribuibile proprio alle lavorazioni dell’azienda, in attività fino alla fine del 1988. Alla perizia di migliaia di pagine, con tanto di ricostruzione storica, avevano risposto i periti di parte con centinaia di controdeduzioni. E da quei documenti i giudici dopo oltre un mese di lavoro avevano tratto una conclusione: respingere il ricorso principale di Edison contro la nota del Ministero dell’ambiente del 12 aprile 2018 che intimava all’azienda di presentare, entro sei mesi, un progetto di bonifica delle acque di falda in grado di impedire la diffusione della contaminazione nell’area ex-Farmoplant. La conclusione era che quel "provvedimento ministeriale impugnato coglie nel segno. La (cor)responsabilità della ricorrente nella causazione dell’inquinamento appare dimostrata e, pertanto, le asserzioni di Arpat sono corrette. Il provvedimento ministeriale impugnato non viola dunque il principio secondo il quale “l’obbligo di bonifica è in capo al responsabile dell’inquinamento che le autorità amministrative hanno l’onere di individuare e ricercare“ (da ultimo C.d.S. IV, 7 settembre 2020, n. 5372), a prescindere, si ripete, dalla corresponsabilità di altre imprese operanti nella zona che potrà essere oggetto di nuovi e diversi procedimenti amministrativi".

Oggi torna tutto in discussione: Edison ha fatto appello al Consiglio di Stato chiedendo prima di tutto la sospensione dell’efficacia della sentenza del Tar e chiedendo di rivedere poi nel merito tutte le decisioni. L’appello è stato presentato il 7 aprile e da allora il colosso non ha perso tempo: fra il 12 e 13 aprile ha già consegnato altri documenti e un contributo unificato utile alla causa. E il Consiglio di Stato ha fissato già la prima data decisiva: discussione in camera di consiglio il 6 maggio per l’adozione di eventuali misure cautelari che potrebbero tradursi nella sospensiva della sentenza del Tar.