"Il progetto così come presentato va bocciato per l’evidente strumentalizzazione di ’greenwashing’ che caratterizza tutto il processo istruttorio, così come fu bocciato quello del 2001 per i rischi degli impatti negativi valutati dai Ministeri dell’ambiente e quello dei beni e attività culturali di allora". E’ durissimo l’affondo firmato da Plef (Planet Life Economy Foundation), che dal 2013 è membro del Consiglio Nazionale della Green Economy, una struttura consultativa proprio dei Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico, con cui i Paladini collaborano, attraverso l’osservazione a cura del professor Paolo Ricotti, fondatore dell’associazione, economista d’impresa e già docente all’università Bicocca di Milano, che fa del piano regolatore del porto di Marina di Carrara il "classico esempio di greenwashing" perché il documento "nasconde e sottovaluta i reali rischi ambientali, economici e sociali che comporta e permane l’evidenza della più rilevante minaccia del nuovo porto: l’aumento dell’erosione costiera che provocherebbe un danno ingentissimo a tutta l’economia turistica del territorio, al paesaggio e alla comunità locale".
Conclusioni che arrivano dopo una lunga e approfondita disamina del Piano regolatore portuale che "mostra una proposta gestionale e operativa che a noi sembra sia volta a sostenere gli interessi di un limitato numero di operatori economici senza una credibile sensibilità e responsabilità ambientale e senza una più larga vista sugli impatti economici e sociali dell’intero territorio apuoversiliese".
Anche i numeri fanno sorgere dubbi, incalza il documento, perché a fronte di un investimento di 500 milioni di euro con "un aumento stimato dell’occupazione di circa 300 unità, un basso ritorno sugli investimenti, è invece certo che se verranno adottati i progetti di estensione dell’area portuale con il prolungamento dei moli si verificherà un impatto ambientale di ulteriore erosione degli arenili a sud del porto di Carrara tale da mettere a rischio una florida economia turistica che vale oltre 3,5 miliardi di euro e che impiega circa 100.000 unità, oltre alla prevedibile svalutazione del valore patrimoniale degli immobili nei tratti di importante erosione costiera".
Sulle prospettive ambientali la critica è netta: "Come è possibile sostenere che il progetto è ambientalmente corretto quando si dichiara di voler ‘vomitare’ in mare circa 50mila metri quadrati di cemento senza alcuna reale dichiarata minaccia? Come è possibile affermare che si ridurranno le emissioni di CO2 e altri gas nocivi quando queste aumenterebbero del doppio malgrado l’implementazione delle tecnologie di Cold Ironing e delle direttive Ets, effetto ben più che proporzionale rispetto all’aumento delle permanenze e manovra delle navi?", fra gli aspetti più rilevanti. Non c’è insomma equilibrio nel rapporto fra costi e benefici, un progetto che "risulta parziale, non corretto e fuorviante da ogni punto di vista, senza anima e senza buon senso che offende la passione e le professionalità di chi ha davvero cura del benessere economico, ambientale e sociale del territorio e delle sue comunità".